Crac Bpvi: «Le baciate? Mi rifiutai per non finire in galera proprio come Fiorani»

Al processo di Vicenza parla l’ex capo area Dalle Carbonare: si ribellò alla prassi delle azioni finanziate e venne licenziato

VICENZA. «Non voglio mica fare la fine di Fiorani, lui è andato in galera, io non ci voglio andare». Enzo Dalle Carbonare, ex capo area della Banca Popolare di Vicenza, è stato uno dei protagonisti della nuova udienza del maxi processo alla Bpvi, ieri all’aula bunker di Mestre. Lui fu uno dei ribelli che, non allineato con le operazioni K (capitale finanziato), Samuele Sorato mise alla porta.

In aula per la prima volta anche l’ex vice direttore generale responsabile della divisione mercati Emanuele Giustini, tra i sei imputati al processo. L’ex manager è uno degli imputati più volte tirati in causa dai teste, finora ascoltati alla sbarra. A differenza dell’ex banchiere vignaiolo. Anche ieri infatti tutti i testimoni ascoltati hanno scandito la stessa formula: «Non ho mai sentito Zonin parlare di baciate». Il cda non sapeva, il presidente neppure.

Al centro dell’udienza dibattimentale le azioni finanziate. Il pm Giovanni Pipeschi ha sentito l’imprenditore Alberto Ferrari, sottoscrittore di una baciata da 18 milioni di euro, gli ex capi area Dalle Carbonare e Franco Pilan.

Il copione proposto dai testimoni è sempre il medesimo, si andava dai i soci patrimonialmente più solidi, proponendo di sostenere la banca con una operazione correlata, finanziamento e acquisto azioni.

Per il disturbo (l’aiuto alla banca come dice Ferrari) all’imprenditore si corrispondeva un bonus pari all’1% netto del valore finanziato/investito. Progressivamente che si ascoltano gli imprenditori si comprende come questo meccanismo delle baciate era una forma di parcheggio dei titoli per svuotare il fondo azioni della banca.

Tanto che il presidente del collegio giudicante Lorenzo Miazzi ad un certo punto chiede al teste Pilan: «C’erano altre operazioni come queste (le baciate) in cui il cliente ci guadagnava (a fronte di un finanziamento concesso ndr)?». La risposta di Pilan è, ovviamente, no.

Ma non è l’unico elemento, c’erano anche le lettere di garanzia del riacquisto: un impegno formale della banca a ricomprare i titoli. Ed è proprio su una di queste che la risposta di Dalle Carbonare è illuminante. «Mario de Franceschi (10 milioni di baciate) chiese una lettera, mi fu inviato il testo da Turco (il diretto superiore ndr) io gli dissi che non l’avrei firmata, Turco si arrabbiò e mi mandò da Giustini che mi disse: “Perché non vuoi firmare?”. Io conosco il diritto bancario, uno non può firmare un riacquisto di un’azione non quotata. E poi ho detto: Emanuele (Giustini ndr.) se tu sei così sereno e tranquillo firmale tu, e lui le firmò».

La ritrosia a piazzare operazioni baciate alla fine gli costa il posto. «Noi dovevamo dissuadere i soci in tutti i modi dalla vendita delle azioni» racconta Dalle Carbonare, ma lui invece agiva controcorrente. «Mi chiamò Sorato mi disse: “se non la smetti di acquistare azioni prepara le valigie e ti mando in Sicilia” (dove c’era Banca Nuova controllata dalla Bpvi ndr.)».

E poi durante una convention «Sorato mentre stavamo camminando mi prese sotto braccio e mi disse prima o poi te la faccio pagare è solo questione di tempo». Era il 2013, l’anno dopo Dalle Carbonare firma un accordo per uscire, con la promessa che non avrebbe parlato all’esterno delle operazioni di capitale finanziato. —


 

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