«Crac più di Parmalat» Ora matrimonio forzato

TREVISO. Il crac azionario delle (ex) popolari venete pesa quasi 19 miliardi di euro, più di quello della Parmalat. Il paragone shock arriva dalle associazioni di tutela dei consumatori Adusbef e Federconsumatori. «Il doppio dissesto della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca dell’ex padre-padrone Vincenzo Consoli sarà di almeno di 18,9 miliardi di euro, a danno di 210.000 mila azionisti tra azzeramento del valore delle azioni (10 miliardi), perdite negli ultimi tre anni (per 4 miliardi), aumenti di capitale (4,9 miliardi). Gli effetti collaterali della mala gestione delle due banche venete, una delle quali, la BpVi, era considerata la banca di riferimento per tutte le operazioni di sistema della Banca d’Italia - dicono Elio Lannutti e Rosario Trefiletti - sono ricaduti sulle spalle dei 210 mila azionisti complessivi degli istituti di credito, che hanno perso oltre il 99,7% dei loro investimenti».
Una bocciatura senza appello, che arriva il giorno dopo l’ipotesi di offerta per l’aumento di capitale a dieci centesimi per azione. «Ora, con l’aumento di capitale di Veneto Banca le perdite saranno al 99% per chi ha acquistato il titolo a 14 euro, nel 1997, mentre per chi ha acquistato le azioni nel 2012, quando il titolo era ai massimi a 40,75 euro per azione, la perdita sarà addirittura del 99,75%», dicono le associazioni consumatori.
L’attacco sposta infine il mirino sui controllori che non hanno controllato: «Se le Autorità vigilanti che erano state interessate già nel 2008 dalle denunce Adusbef avessero fatto il loro dovere - conclude la nota dei consumatori - non ci sarebbero state tali comportamenti fraudolenti, che hanno generato un buco di 18,9 miliardi di euro, superiore a quello di Parmalat di “soli” 14 miliardi».
Ora il gioco dei paragoni “veste” i numeri per far capire meglio la portata del disastro. Peggio di Parmalat, dicono i consumatori. Oppure: il valore di capitalizzazione “bruciato” dalle due ex popolari, ovvero circa undici miliardi di euro, coprirebbe per intero la spesa prevista per il tratto Milano-Venezia dell’alta velocità. Altro conto: se la picchiata azionaria di Montebelluna e Vicenza fosse una tassa, costerebbe 2.200 euro a testa ai circa cinque milioni di residenti veneti. Numeri a parte, ora cosa succederà? I prossimi giorni saranno decisivi: se i soci veneti riusciranno a mettere assieme almeno 250 milioni di euro per coprire il 25% dell’imminente aumento di capitale, Veneto Banca potrebbe poi intraprendere la strada della quotazione in Borsa. Sotto quella soglia, la Consob stopperebbe l’operazione, come successo a Vicenza, e aprirebbe altri scenari. Il più plausibile: il pacchetto azionario quasi totalitario finirebbe in pancia al fondo Atlante, che poi si troverebbe “padrone” di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza. Non è ipotesi remota pensare che dentro Atlante possa poi avvenire una fusione «fredda» tra le due ex popolari venete, creando un istituto unico che dovrebbe però passare sotto forche caudine di tagli drastici ed eliminazione delle sovrapposizioni territoriali e di mercato. Quello che era il sogno nemico di Consoli e Zonin, “mangiarsi” l’altro, potrebbe realizzarsi senza vincitori ma solo vinti: gli azionisti.
Sullo sfondo, al momento, altre opzioni che però sembrano di difficile realizzazione. Come un possibile intervento della Popolare dell’Emilia Romagna che prevederebbe - come ha scritto ieri il Sole 24 Ore - una partecipazione all’aumento del capitale di VB in fase di collocamento o la definizione di un accordo di sub underwriting con il consorzio di banche d’affari guidato da Banca Imi. In parallelo, la banca modenese nel suo piano sarebbe supportata dal fondo Atlante, che dovrebbe alleggerire parte del fardello dei crediti deteriorati di Montebelluna. I tempi però sembrano stretti per una manovra del genere: lunedì, cda in agenda, se ne saprà di più.
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