Crisi del marchio Benetton, l'esperto: «La forza del brand rimane forse soltanto all’estero»

Andrea Colli, docente di Storia economica alla Bocconi, autore del libro su Edizione: «Una formula geniale nel passato, ma non è semplice ora trovare un partner»
 

TREVISO. «Provi a chiedere ai 16-20enni di oggi quali sono i principali brand dell’abbigliamento che hanno in mente. Non serve una grande indagine: vedrà che nessuno risponderà Benetton, come avremmo fatto noi negli anni Ottanta. E per un marchio che vuole risollevarsi questo è un bel problema».

Andrea Colli, docente di Storia economica alla Bocconi di Milano, alla fine di “Famiglia, management e diversificazione”, il suo libro sulla storia di Edizione holding, confessa di aver abbandonato «l’atteggiamento di imparzialità che dovrebbe caratterizzare uno studioso» per augurare al gruppo di Ponzano «un futuro altrettanto brillante come il passato su cui poggia le basi».

Non gli si può affibbiare, quindi, alcuna patente di “anti-benettoniano”, eppure i giudizi sulla gestione del ramo tessile dell’azienda negli ultimi vent’anni sono impietosi. United Colors ha accumulato perdite per 756 milioni di euro dal 2012 a oggi.

C’è davvero il rischio che il risultato di tanti lunghi anni di vittorie si risolva in una sconfitta?

«Va detto che se guardiamo a tutta la vita del gruppo troviamo delle storie, per quanto controverse, di successo. Almeno da quando è stata creata Edizione. Ebbe, il tessile in qualche modo è una delusione in questo panorama. Da un lato, è ciò da cui tutto si è originato. Edizione nel 1985 è nata perché United Colors, l’anima tessile, andava particolarmente bene ed era reduce da almeno un decennio di successi incessanti, con una formula geniale che l’aveva posta come leader incontrastata del mercato. Edizione godeva sia dei profitti dell’abbigliamento sia del successo della quotazione, accolta con entusiasmo dalla Borsa».

E poi cos’è successo?

«Il problema della stagnazione del gruppo - o meglio, del tessile di Benetton Group, che pesa meno del 10 per cento della holding - è conseguenza del suo stesso successo. Era stata trovata una formula che mescolava le abilità dei fratelli, in quell’ambito considerevoli, e la produzione di massa, con collezioni relativamente standard che indovinavano il gusto del mercato e finivano per essere perfettamente sposate a una politica di franchising che era stata l’altro colpo di genio, con i negozi non di proprietà. A un certo momento potremmo dire che non c’era nemmeno una fabbrica, la struttura era iper leggera, senza investimenti fissi».

Quale di questi ingredienti si è deteriorato nel tempo?

«Gli ingredienti sono rimasti gli stessi, questo è il problema. Il fatto di avere delle collezioni, belle o brutte, che girano solo due volte all’anno o tre, non è più sostenibile. Il rapporto qualità-prezzo non è concorrenziale rispetto a Zara o altri nomi di società che presidiano la stessa fascia di mercato. E - terzo motivo - i prodotti sembrano non piacere al mercato. Torniamo al discorso dei sedicenni: quanti comprano Benetton?».

La formula che ne aveva decretato il successo, quindi, non è stata aggiornata?

«Solo marginalmente, ma intanto è cambiato il mercato, non c’è niente da fare. Luciano e Giuliana non sono stati in grado di percepire questo cambiamento, e questo non mi meraviglia, va tenuta in considerazione anche l’età. Difficile ora pensare di poter cambiare».

Non che Luciano Benetton non ci abbia provato, tornando al timone dell’azienda dopo l’ormai celebre “cacciata” dei manager.

«Sì, ma cos’è cambiato? Un nuovo stilista, Castelbajac, che non sono in grado di giudicare. E il ritorno di Toscani: mi aveva colpito perché era un altro tentativo di tornare al passato anziché guardare avanti. Tanto di cappello per il professionista, ma era una replica di ciò che il brand era negli anni Ottanta. Il classico esempio di ciò che capita nelle aziende familiari nei passaggi generazionali. Ciò che si dice ai figli è: non ripetete ciò che hanno fatto quelli che c’erano prima di voi, dovete fare gli imprenditori voi stessi, o sarete solo una pericolosa replica».

Tutta colpa del mancato ricambio generazionale?

«Questo può aver influito, ha ridotto le probabilità che ci fosse energia nuova in azienda. La conferma? Edizione è andata bene perché fin dall’inizio è stata in mano ai manager. Quando hanno cercato di replicare in Benetton, invece, è stato un disastro, pensiamo all’esperienza di Benetton Sportsystem».

Visto che quella del ricambio generazionale non è più una strada percorribile rimane soltanto la ricerca di un partner. Luciano Benetton ha affermato che l’appeal internazionale del brand è un punto di leva. È davvero così?

«Mah. Ripeto quello che ho detto sui 16-20enni. Trovare un partner in grado di rilanciare il marchio non sarà semplice. La forza del brand forse all’estero è ancora immutata, per noi italiani non è più così».

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