Da giornalista indagata a paladina dell’antimafia A Cristina Genesin il premio Pio La Torre

il riconoscimentoQuest’anno il “Riconoscimento alla memoria di Pio La Torre”, premio che viene assegnato a chi si distingue per l’impegno sul fronte della lotta alla mafia, sarà conferito alla nostra...

il riconoscimento

Quest’anno il “Riconoscimento alla memoria di Pio La Torre”, premio che viene assegnato a chi si distingue per l’impegno sul fronte della lotta alla mafia, sarà conferito alla nostra cronista di giudiziaria Cristina Genesin.

È una situazione decisamente paradossale, quella a cui è costretta la giornalista de il mattino di Padova, visto che dallo scorso mese di giugno è anche indagata dalla Dda di Venezia per violazione del segreto istruttorio aggravato dal fine mafioso insieme al direttore del giornale Paolo Possamai, al condirettore Paolo Cagnan e a un altro collega.

Il riconoscimento viene deciso da Avviso Pubblico, Cgil e Federazione nazionale della stampa italiana alla memoria del sindacalista e parlamentare, noto per il suo impegno sui temi della lotta alla mafia, per la pace, la democrazia e la legalità, ucciso a Palermo il 30 aprile 1982, insieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo.

la premiazione

La premiazione sarà domani, alle 11.30, nella sede della Cgil a Roma in corso d’Italia 25. Insieme a Cristina Genesin saranno premiati anche il sindaco di Riace Domenico Lucano per la categoria amministratori pubblici e la segretaria generale della Cgil di Benevento Rosita Galdiero per la categoria sindacalisti.

L’assegnazione del premio non può non essere percepito come un piccolo risarcimento morale per la giornalista Genesin, dopo lo schiaffo di una perquisizione a casa e al lavoro, sulla spinta di un’accusa da “mondo che gira al contrario”. La vicenda è quella che ha fatto il giro d’Italia, suscitando l’indignazione di tutta la categoria. La Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia, nella persona del sostituto procuratore Fabrizio Celenza, ha deciso di indagare la cronista dopo la pubblicazione di un’inchiesta sulla “bella vita” del figlio di Totò Riina a Padova.

l’indagine della dda

A febbraio 2012 Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, terzogenito del boss di Cosa nostra, dopo 9 anni di carcere e dopo un periodo in regime di sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Corleone, viene autorizzato dalla magistratura a trasferire la sede di soggiorno da Corleone a Padova per intraprendere un percorso di lavoro in una onlus. A febbraio 2017, quindi cinque anni dopo il suo arrivo, Cristina Genesin viene in possesso di foto che lo ritraggono in un bar di Padova con alcuni pregiudicati per mafia. Le foto sono state scattate quattro anni prima, nell’ambito di un’indagine della Dda. Le foto vengono pubblicate sul mattino di Padova ma quella che per il giornale è la giusta denuncia di una situazione quantomeno “anomala” per i magistrati della Dda di Venezia sarebbe addirittura un tentativo di favorire il figlio del boss. Così i finanzieri del Gico, mossi dal pm Celenza, le sequestrano computer e telefonini, dando il via alla “caccia alla fonte” con una marea di tabulati telefonici.

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