Da Venezia fino alle Dolomiti: ecco l’invasione del turista cafone

Auronzo. Il lago Sorapis si sta consumando. E i cafoni, proprio per questo, dovrebbero esserlo un po’ meno, con un supplemento di civiltà verso un gioiello fragile delle Dolomiti. È un piccolo angolo di paradiso che, lanciato sui social, sta richiamando appassionati della natura da tutto il mondo, perfino dalla Russia e dal Giappone, come in questi giorni. La maggioranza dei visitatori – a volte 3000 al giorno – è responsabile, alcuni decisamente no.
Sabrina Pais, 50 anni, di Auronzo, gestisce il rifugio Vandelli insieme al marito Emilio Pais (stesso cognome, ma parenti solo da quando si sono sposati). È stata lei a lanciare per prima l’allarme-cafoni ancora l’anno scorso.
Chi sono i cafoni?
«Non vorrei parlarne perché sono pochissimi, ma sono quelli che fanno più rumore, c’è il rischio che enfatizzando le loro “imprese” banalizziamo anche lo splendore di questo angolo. Per favore, quindi, non parlatene».
Non possiamo non farlo, perché la cronaca riferisce che i sentieri in questa valle si stanno trasformando nelle calli di Venezia.
«Con la differenza che a Venezia qualche controllo c’è, qui no, anche se la collaborazione tra il rifugio, il Cai di Venezia, che ne ha la proprietà e le Regole di Cortina, è massima; basta vedere le tabelle che invitano a rispettare l’ambiente».
Ma quanti sono i maleducati che non lo rispettano? E che cosa fanno?
«Sono pochi, ripeto, non sono soltanto i ragazzi che vengono quassù, magari con le infradito, bevono, si tuffano in acqua, piantano la tenda e abbandonano i rifiuti. Sono anche tante persone adulte che, immaginando di trovarsi in città rivendicano i servizi più assurdi e protestano se non li trovano».
Provo a indovinare: i cestini per i rifiuti. Chi ama la montagna sa che deve portarseli a casa.
«E invece non lo sa, o finge di non saperlo. L’altro giorno sono stata quasi insultata da un giovane che ha protestato perché lungo il sentiero e quassù al lago e al rifugio non ha trovato bidoni per le immondizie, neppure cestini. Ho cercato di spiegargli che per rispetto di questo ambiente non possiamo distribuire cestini ovunque, mi ha risposto che questo è un segno di inciviltà. Ho provato a replicargli che la civiltà in quota significa sporcare il meno possibile e, in ogni caso, a noi del rifugio costa un sacco far venire l’elicottero ogni settimana perché porti a valle i bidoni che riempiamo con i rifiuti che ogni sera raccogliamo abbandonati intorno al lago».
Perfino un frigorifero portatile.
«Sì, l’estate scorsa, apparentemente nascosto in un cespuglio. Era pieno di avanzi di consumazioni e di escrementi umani».
Altri esempi di cafonaggine?
«Risponderci in malo modo se chiediamo, ad esempio, di rispettare il diritto di tuffarsi in acqua o di piantare la tenda in particolari spazi. Quassù, tra l’altro, è proibito campeggiare, ma in determinate situazioni è giusto chiudere un occhio, per esempio con gli escursionisti che fanno l’Alta Via. Ma paradossale è protestare perché lungo il sentiero non si trovano fontane o quantomeno ruscelli per poter bere. O prendersela con noi del rifugio se facciamo pagare l’acqua potabile».
Forse perché non si sa che voi vi approvvigionate esclusivamente attraverso l’elicottero e, quindi, tutto ha un costo, anche l’acqua.
«Esattamente. Con qualche eccezione, per esempio verso gli alpinisti che si fermano in rifugio la notte e devono riempire le borracce per le ascensioni del giorno dopo».
I cafoni, dunque, non hanno età. Hanno forse un’identità territoriale?
«Se mi chiede se sono meridionali piuttosto che nordici, metropolitani piuttosto che cittadini dei nostri paesi, le rispondo che no, non c’è nessuna differenza. Neppure tra italiani e stranieri. Per la verità i russi e i giapponesi che sono stati da noi in questi giorni erano gentilissimi. La cafonaggine dipende dall’arroganza che uno ha dentro».
Sarete costretti a installare i tornelli all’ingresso dei due sentieri, come a Venezia?
«Non diciamo stupidaggini. Tutti hanno il diritto di godere di queste bellezze. Il numero chiuso non è una soluzione. Lo sono i possibili controlli. E la prima misura di vigilanza è organizzare i parcheggi a valle. Chi non trova area di sosta evidentemente non può salire» . —
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