Dalla tesi di laurea ai reparti Covid-19. L’infermiera Alessia: "Felice e impaurita"
Ventidue anni, di Marghera, come molte sue colleghe di corso ha chiuso in anticipo gli studi. Lavorerà al Policlinico San Marco

MESTRE.
«Cari studenti, l’emergenza sanitaria di queste settimane rende ancor più importanti le lauree delle professioni sanitarie, in primis le lauree del corso di Infermieristica. Vista la normativa ministeriale di questi ultimi giorni e accolta la richiesta della Regione, abbiamo ritenuto necessario anticipare lo svolgimento delle lauree la cui prova pratica era inizialmente prevista per il 2 aprile».
Inizia così l’e-mail che la 22enne di Marghera Alessia Romano, allora studentessa di Scienze infermieristiche all’Università di Padova, ha trovato nella sua casella postale il 13 marzo. Una sorta di “chiamata alle armi” che, da lunedì, la vedrà in trincea nella lotta al Covid-19. Con un passaggio dalla teoria alla pratica che non avrebbe mai immaginato tanto celere: dai tomi studiati ai reparti Covid del Policlinico San Marco di Mestre.
«Avrei dovuto sostenere l’esame di Stato il 2 aprile e discutere la tesi dopo Pasqua. Invece mi sono laureata il 23 marzo, sostenendo l’esame orale lo stesso giorno» ricorda Alessia. «La prima sensazione alla lettura della mail? Ansia, felicità e paura. La tesi era pronta, ma pensavo di avere ancora un mese per ripassare, invece mi sono ritrovata con la corona d’alloro dopo 10 giorni». Il risultato è un 110 e lode, che Alessia non ha neanche potuto festeggiare con amici e parenti. Ma ora ad aspettarla è l’esame più grande: la lotta al Covid-19, nelle corsie del Policlinico San Marco.
«Mi sono laureata il 23 marzo, ma la “chiamata” era arrivata già il 20. Ho fatto un colloquio e ho firmato un contratto di sei mesi. Mi sento un mezzo soldato pronto ad andare in trincea. Quello che mi chiedo ogni giorno è se sarò all’altezza della situazione, all’altezza del lavoro che amo. Inizierò la settimana prossima, ma non so ancora in quale reparto sarò collocata. L’idea di potermi finalmente mettere in gioco e dare un aiuto concreto a chi sta male è una bella spinta. Certo avverto la pressione: leggo continuamente annunci per reclutare infermieri e questo mi provoca molta ansia. Ho anche chiesto dei consigli ai miei vecchi compagni di Università, che lavorano già da qualche mese. Mi hanno detto di non essere troppo severa con me stessa e di darmi tempo».
Per Alessia, il mestiere dell’infermiera è una vera vocazione. «Durante i cinque anni delle superiori, sognavo di fare la maestra. Quando ero in quinta, mio papà si è ammalato di tumore. Ho trascorso intere giornate in ospedale. Guardavo le infermiere lavorare con dedizione e abnegazione. E, progressivamente, ho iniziato a innamorarmi di questo mestiere, seppur inconsciamente. Papà è mancato proprio il giorno in cui ho sostenuto una delle prove della Maturità. Quando è stato il momento d’iscriversi all’Università, dentro di me è scattato qualcosa e ho provato il test di Infermieristica. Non l’ho superato, sono stata l’ultima ripescata dell’ultimo giorno: un segno».
Mamma Elisabetta e il fratello Enrico sono molto orgogliosi di lei: «La mamma è contenta che non sia stata buttata nella mischia subito, ma solo ora. Sono felici e orgogliosi. Un po’ preoccupati, come lo sono anch’io. Mi terrorizza l’idea di poter essere un vettore per il contagio, ma la gioia di aiutare chi è in difficoltà allontana ogni paura».
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