Don Marco Scattolon «Il Diavolo lavora sempre la domenica»

Il parroco di Rustega e Fossalta condanna le aperture festive dei negozi, giochi, lotterie e falsi miti televisivi
Di Emilio Randon
BELLUCO.DON MARCO SCATTOLON CHIESA RUSTEGA DI CAMPOSANPIERO
BELLUCO.DON MARCO SCATTOLON CHIESA RUSTEGA DI CAMPOSANPIERO

RUSTEGA DI CAMPOSAMPIERO. Il diavolo, abitualmente, veste Prada, mangia culatello e cozze pelose, ma gradisce anche la pizza margherita, frequenta gli outlet e non disdegna i discount. In genere fa tutto questo di domenica. È lui quello che ha suggerito al Governo l'orario lavorativo allargato ai giorni del Signore. Don Marco Scattolon ne è sicuro, ma non ne fa una tragedia, convinto com’è che il demonio, in fondo, è «solo uno sfigato inevitabilmente destinato alla sconfitta». Invita solo a fare attenzione: il maligno è un creativo, lavora in pubblicità, sue certe espressioni come «gratta e vinci», «giocare è semplice, vincere di più», «Isola dei famosi».

Part time lo trovi anche in Rai, a Mediaset e a Sanremo. L'altro ieri s'è fatto vivo nella canonica di don Marco, aveva la voce di Barbaro D'Urso e chiamava da Roma: «Don Marco, possiamo averla in diretta?». L'avevano già messo in diretta, così il vasto pubblico di “Pomeriggio Cinque”, l'altroieri, ha potuto sentire il rifiuto del prete, gentile, rispettoso ed irrevocabile.

Fuori dalla canonica, bevendo un caffè su un vassoio di legno, ci spiega perché: «Tanto, anche se parli, non ti fanno dire niente e se dici qualcosa ti fanno parlare d'altro».

Don Marco Scattolon, 67 anni, parroco di Rustega di Camposampiero e di Fossalta di Trebaseleghe, in questi giorni è finito sui giornali perché avrebbe prescritto delle penitenze a chi lavora di domenica. Non è proprio così: «La penitenza, casomai, la farei fare ai padroni delle grandi catene commerciali».

Da uomo colto e di buonumore, il diavolo preferisce cojonarlo, Lutero lo «scacciava con una scorreggia», lui dà la baja, ne storpia gli slogan e lo ridicolizza. Fuori dalla chiesa ne ha piazzato alcuni di questi segnali diabolici opportunamente rovesciati: «Cercarsi peccatori a km 0», «Paghi una messa e prendi due», «Aperto anche la domenica», «Gratta e vinci? E se si chiamassero “spendi e perdi”?». «Questa del gioco,Bendetto Croce la chiamava l'oppio della miseria» dice.

La sua è una piccola parrocchia, 3.250 anime. Sei mesi fa, quand'era a Spinea ne aveva 12 mila e l'azienda «fatturava» 150 funerali l'anno, 110 tra comunioni e cresime. A Rustega solo due esequie in sei mesi, l'ultima ieri, appena conclusa. La chiesa è una severa costruzione di memoria medievale, l'unica rimasta in piedi da quando Rustega aveva anche le ville dei signori veneziani. Dalla chiesa stanno portando fuori i fiori. Un’Auditel più bassa, ma di qualità. Il pubblico sembra gradire le sue «cartoline», «omelie un po' umanizzate» come le chiama lui, «prediche, anche non strettamente religiose». Noi li chiameremmo editoriali.

Ne ha scritti contro Celentano a Sanremo, sul «Gratta e vinci», contro l'«Isola dei famosi». Don Marco, in ciascuna, ci mette dentro un po' di Vangelo. «La Bibbia è un grande libro e i preti sono piccoli» spiega »talvolta pigri e abitudinari: dopo 150 funerali finiscono sempe col scegliere gli stessi brani. Dicono che a loro basta il rito, allora modificano anche la voce e si fanno aulici e pomposi. L'uomo che ho seppellito oggi era davvero un povero Giobbe: solo, aveva perso la moglie 12 anni fa e da uno soffriva di tumore, lo tormentava il rimorso di un incidente stradale in cui era morta una persona. Insomma, era anche lui un Giobbe che si lagnava con il Signore, imprecava e non capisce perché un onest’uomo ne debba patirne tante. Un brano come quello ci stava bene. Tanto il senso è sempre lo stesso: il Signore le cose le sa bene, bisogna fidarsi, fidiamoci».

Don Marco non riesce a finire il suo caffè, il telefono trilla, lo gente che lo ha sentito in Tv chiama e vuole sapere.

La sua canonica è una vecchia casa colonica riattata, guarda su un giardino d'erba rasata, ci sono palme e un canneto. Oltre la recinzione c’è il giardinetto comunale con l'altalena dei bambini. Don Marco vende fede, ma questo non significa che ne ha il magazzino pieno. «Ho visto preti morire disperati» confessa «è difficile anche per noi masticare questa Bibbia e farla nostra. Dipende dai giorni, dall'umore».

Oggi è un buon giorno per l'umore, il sole scalda e il vento rinfresca. Lui prende le offerte dai parrocchiani generosi e le passa ai rumeni «che sono quelli che stanno peggio in qusti momenti di crisi». Domani vuole dar via un seggiolone per bambini, «ma devo stare attento a non darlo a chi poi se lo rivende: i poveri sono furbi a ragione, altrimenti morirebbero di fame».

Quinto di sette fratelli, è nato in un’epoca in cui i contadini chiedevano ancora al prete il permesso per «fare» il fieno di domenica, quando aveva piovuto e c'era il rischio che marcisse.

Dei protagonisti dell’«Isola dei famosi» parlato come di «scimmie nude». «E, mio Dio, quanto sono brutte le nostre attrici senza trucco. Stanno là, non gli manca nulla e fanno finta di avere fame. In Honduras dove ci sono 20 omicidi al giorno e si fa la fame per davvero». Si è scagliato contro la caricatura di confessionale del «Grande fratello», «dove si va a silurare segretamente gli altri, mentre noi in confessionale dovremmo andarci per dire “per colpa mia”». E si chiede: «Quanto odio lasciano 100 giorni di una tv come quella, e quante illusioni consegnano alla vita? “Gli uomini amano in fretta, ma odiano con calma”, dice il poeta Byron, l'odio è il piacere più duraturo». Ha tirato le orecchie a Celentano per Sanremo, gli ha scritto: «A proposito, sto leggendo un libro del prete che ti piace tanto, don Gallo, è stampato a Trebaseleghe, mi sa che parla di Dio meno di me. Ho trovato 43 volte il nome Berlusconi, 21 Bossi, molti Marchionne, Cristo è apparso e subito scomparso a pagina 43. A proposito, Adriano, se vedi Benigni digli che l'ospedale Meyer di Firenze sta ancora aspettando i 250 mila euro che aveva promesso l'anno scorso».

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