Doping, il medico Enrico Lazzarocondannato dal gip all’obbligo di dimora

Nuotatrice si cambia il sangue col papà che la assiste in clinica
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La cosa che i finanzieri diretti dal colonnello Ivano Maccani non sono ancora riusciti a spiegarsi è semplicemente il perché. Perché Enrico Lazzaro, 45 anni il prossimo 10 dicembre, il medico di Abano (via Calle Pace 81/a) «condannato» all’obbligo di dimora dal gip Claudio Marassi e coinvolto dalla testa ai piedi in più di un’inchiesta sul doping (una è già chiusa con una condanna in Appello a 9 mesi) abbia continuato come se nulla fosse a dopare atleti in erba e campioni ormai consunti. A estrogenare promesse dello sport e amatori della pedivella. Come se per lui fosse quasi una missione. Enrico Lazzaro, che dal dicembre del 2008 era stato autorizzato dalla Usl 16 a esercitare nello studio specialistico di medicina dello sport di 1º livello a Montegrotto Terme (in quel periodo era anche iscritto alla Federazione italiana medici sportivi), per il pm Benedetto Roberti, nonostante la condanna, infatti, ha continuato a procurare, somministrare o favorire l’uso (consigliando gli atleti) di farmaci dopanti. Non solo.


Lazzaro è accusato di aver «inventato» un nuovo metodo dopante, più potente dell’Epo, ancora più sofisticato del Cera: la ozonoterapia, una pratica che può essere eseguita soltanto in strutture pubbliche e di cui non esiste ancora un protocollo. L’ozonoterapia - che il responsabile di Medicina dello Sport dell’Usl 16 Maurzio Schiavon ha detto che serve per la cura dell’ernia - veniva usata da Lazzaro per «spostare la curva dell’emoglobina», quindi per ossigenare meglio il sangue e migliorare le performance. Di più: l’ozonoterapia è invisibile ai controlli. Rovina il fisico, ma questo era, a quanto pare, un dettaglio. Quindi eccolo il dottor Lazzaro prelevare una sacca di sangue da una nuotatrice di 15 anni all’epoca dei fatti tesserata con il Team Nuoto Padova e rimetterle il siero in circolo dopo una «pompata» di ossigeno. Il video-prova ha già fatto il giro dei media nei mesi scorsi. La ragazzina era accompagnata nello studio del medico da suo padre, amico di Lazzaro. Le intercettazioni ambientali hanno dimostrato che nessuno era all’oscuro. La minore, al magistrato, ha ammesso che la sacca del suo sangue veniva manipolata con l’ozono e «arricchita» con vitamine, Ferlixit, freamine. Farmaci che i finanzieri hanno trovato nel frigo di casa sua.

Ma Enrico Lazzaro è finito nei guai anche per riciclaggio, perché riceveva, occultava e rivendeva, agli atleti che ne facevano richiesta, farmaci tipo «Lutrelef», di esclusiva provenienza ospedaliera. E per aver esercitato abusivamente la professione di farmacista. Oltre che per aver somministrato farmaci in modo pericoloso per la salute pubblica.

Eppure Enrico Lazzaro in questa storia appare come uno specchio che riflette i peccati altrui. Di tutti coloro che vogliono vincere per denaro o per dimostrare di essere i più forti. Perché dopo che Lazzaro era finito nell’occhio del ciclone nel 2001 per un video in cui Davide Rebbellin (presente sua moglie) chiedeva farmaci proibiti proprio al medico aponense, nessuno poteva più dire di non sapere. Né la ragazzina di 15 anni sottoposta a ozonoterapia, e nemmeno Natalino Moletta che nel maggio del 2008 comprò da Lazzaro il Lutrelef per poi consegnarlo al figlio Andrea, ciclista professionista della Gerolsteiner e impegnato in quei giorni nella cronometro Pesaro-Urbino del Giro 2008.

Gli investigatori della Compagnia delle Fiamme Gialle coordinati dal capitano Giovanni Pipola grazie alle intercettazioni ambientali hanno trovato i riscontri ai racconti. Oltre a un’agenda in cui il medico segnava con le iniziali il paziente seguito e a fianco la sigla OZ, per l’ozonoterapia. Oltre alla nuotatrice quindicenne sono saltati fuori altri atleti dopati: ciclisti amatori tesserati Uisp e atlete donne tesserate Udace. Ma anche un maratoneta.

Sconsolato di fronte a un panorama del genere il colonnello della Finanza Ivano Maccani. «I giovani sportivi - ha detto il comandante della guardia di finanza di Padova - hanno bisogno di eroi positivi non “al doping”. Dobbiamo allontanarli e non avvicinarli ai medici stregoni che, iniettando strani infusi moltiplicatori di energia. Rischiano di ammalarsi provocandosi danni alla salute: il podio non vale la candela».



Stavolta, nei guai è finita una decina di professionisti, alcuni già denunciati o trascinati nel fango da colleghi. Dovranno, quindi, rispondere a vario titolo di ricettazione, commercio, cessione, utilizzo, detenzione e contrabbando di prodotti dopanti atleti veneti del calibro di Davide il padovan-veronese Rebellin, il vicentino Emanuele Sella, il padovano Andrea Moletta e il trevigiano Matteo Priamo, ma anche Francesco Rivera, Dusan Ganic, Marco Ghiselli, Americo Novembrini, Armando Camelo e il colombiano Julian Munoz. Oltre a i direttori sportivi Simone Mori, Roberto Massi e Donato Giuliani. Più cinque medici e il legale rappresentante di un'azienda farmaceutica di Carsoli (L'Aquila), la Oti srl, che produceva farmaci dopanti ma senza principio attivo (l’accusa è anche frode in commercio).


Decine le perquisizioni effettuate in Veneto fra le province di Padova, Vicenza, Treviso e Verona. Ma anche in altre parti d'Italia: la più recente a Imola, il 28 giugno scorso, quando i militari delle fiamme gialle trovarono fiale di insulina sotto il letto di Francesco Rivera, neo professionista della Amica Chips-Knauf, alla vigilia del campionato italiano professionisti su strada.


Il trait d'union fra professionisti, medici, direttori sportivi e dilettanti, secondo quanto accertato dalla finanza sarebbe Aleksandar Nikacevic, ex ciclista della Alessio, ex ct della Serbia e ora ds della Partizan. Nikacevic è stato arrestato dalla compagnia della Finanza di Padova diretta dal capitano Roberto Di Resta sabato scorso appena uscito dal casello di Padova. Nikacevic era arrivato nella città del Santo per riscuotere il denaro dei medicinali dopanti portati in precedenza dalla Serbia e distribuiti a ds, medici e atleti compiacenti. Medicinali che i finanzieri hanno cominciato a sequestrare in quantità industriali (oltre 10 mila fiale in totale a partire dal giugno scorso quando è partita l'inchiesta) grazie all’aiuto di «Furia» un cicloamatore veneto (il cui nome non è stato rivelato), il quale ha ammesso di essere in grado di fornire sostanze dopanti (dall'eritropoietina o «Epo» alla somatotropina o «ormone della crescita, al Cera) a chiunque glielo chiedesse. Nikacevic tra l’altro era diventato, secondo la procura padovana, il fornitore del «MirCera», l'Epo di terza generazione, medicinale non ancora registrato in Italia in quanto il ministero della Salute la sta ancora valutando in fase sperimentale in quattro ospedali.

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