Ecco l’accordo segreto di «Faccia d’angelo» con il clan dei Casalesi

PADOVA. «L’accordo con Caterino fu che non avremmo consentito a nessuno di infiltrarsi nella città di Modena e provincia, cosa che in effetti non è mai avvenuta. Per contro, ci saremmo divisi a metà le quote (dei proventi del controllo del gioco d’azzardo)». Così raccontò Felice Maniero durante le sue dichiarazioni fiume del 1995 che sfociarono nel pentimento e consentirono di smantellare la Mala del Brenta. Caterino al secolo era Giuseppe Caterino, detto Peppinotto, casertano d’origine e spedito dallo Stato al «confino» a Modena, dove, in poco tempo, diventò il referente di zona per il clan del Casalesi per le molte attività illecite.
Il patto. L’accordo fra Maniero e Caterino consentì al clan dei Casalesi (che all’inizio degli anni Novanta non era così potente come adesso) di conquistare parte dell’Emilia, piazzando i propri uomini ovunque. Maniero, per contro, consolidò la sua leadership anche sotto il Po. Il sodalizio finì perché per Maniero il business delle bische era meno redditizio delle rapine ai portavalori. Così con il passare degli anni, delegò ad altri del gruppo veneto il controllo delle bische, finché non arrivò il pentimento che mise fine a tutto.Tuttavia, come e perché Felice Maniero abbia deciso di collaborare con i Casalesi non è ancora del tutto chiaro.
La strategia. La sua ritrosia nel confronti di alleanze con le realtà criminali del Sud era nota anche a quel tempo: nelle deposizioni rilasciate da Faccia d'Angelo ha sempre parlato in modo spregiativo di «napoletani» senza distinguo. E' probabile, quindi, che dopo l'incontro che Felice Maniero ebbe (agli inizi del 1991) con Giuseppe Caterino, oltre alla spartizione a metà degli introiti delle bische, Maniero riuscì a strappare (forse) anche l'esclusiva dello spaccio di cocaina e eroina nelle bische modenesi. In cambio i suoi uomini fra luglio del 1991 e il gennaio del 1992 (da ricordare i tre raid a colpi di mitra contro l’edificio che occupava la bisca del clan concorrente ai Casalesi e la gambizzazione del presidente del Circolo Paolo Bellei) misero a segno scorribande che costrinsero il clan De Falco a lasciare il campo.
Guerra fra clan. Scorribande che caddero temporalmente in mezzo alla guerra fra il clan dei Casalesi (oltre a Giuseppe Caterino vivevano a Modena Francesco Compagnone, Nicola Nappa, Domenico Esposito, Raffaele Petito) e il clan De Falco (Nunzio De Falco, Sebastiano Caterino, Vincenzo Maisto, Antino Nicotera), guerra sfociata nella sparatoria del 5 maggio del 1991 in via Benedetto Marcello a Modena, una specie di sfida all’Ok Corral in salsa padana. Sparatoria che consentì ai carabinieri di identificare i presenti e trovare la chiave di lettura per disarticolare i due gruppi. E proprio perché i raid (a cui non partecipò direttamente Felice Maniero) furono messi a segno il 24 luglio 1991 (esplosione di colpi d’arma da fuoco contro l’edificio che ospitava il circolo Il Cavallino di via Montecuccoli), il 29 agosto 1991 (gambizzazione di Paolo Bellei gestore del circolo Club 88) e il 20 dicembre 1991 e il 15 gennaio 1992 (raffiche di mitra contro il Cavallino e incendio di auto parcheggiate), tutti attribuirono le azioni come avvetimenti dei Casalesi a Felicetto Maniero .
Processo Rialto. A depistare, suo malgrado, ci pensò anche Domenico Bidognetti, nipote di Francesco, detto Cicciotto e’ Mezzanotte, che durante il processo «Rialto» raccontò – come citano le cronache di allora – che un gruppo di casalesi di “notevole spessore criminale”partì da Casal di Principe per imporre a Felice Maniero di lasciare perdere le bische modenesi. L’incontro – continuò Bidognetti – si concluse favorevolmente per i casalesi, tanto che Cicciotto e’ mezzanotte lo etichettò come inutile, dando del «drogato» a Maniero. Sul fatto che l’incontro ci fu, nulla da dire. Giuseppe Caterino, però, avvicinò Maniero per chienderne l’alleanza non per cacciarlo.
L’incontro. Giuseppe Caterino fu presentato a Felicetto da Giuseppe Arrighi detto «Branca», un biscazziere modenese che aveva preso il posto di Loris Pinelli, uomo vicino a Stefano «Sauna» Carraro. Quest’ultimo finché non venne ucciso, per conto di Maniero aveva gestito bische nel modenese fin dalla metà degli anni Ottanta, creando i solidi contatti che poi permiserò a Maniero di allargare il business.
Perché Maniero scelse Modena dopo il Veneto forse bisognerebbe chiederlo a Mario Artuso (deceduto), imprenditore, giocatore d’azzardo incallito, diventato suo malgrado il contabile della Mala del Brenta, quello che fece fare alla banda il salto di qualità dal punto di vista «imprenditoriale».
Artuso, molto amico della madre di Felicetto Lucia Carrain, aveva convinto Felice a investire tempo e uomini nel racket delle bische modenesi. E così fin dalla metà degli anni Ottanta gli uomini della Riviera del Brenta erano sbarcati ad imporre la loro legge a ad imporre la cagnotta (la tangente), che stando ai verbali fruttava 100 milioni di lire al mese.
Agli inizi del 1991 (quindi qualche mese prima della sparatoria di via Benedetto Marcello )«Branca», Mimì (Domenico Esposito, gestore di una bisca e affiliato ai Casalesi) si presentarono più volte a Campolongo Maggiore per rafforzare alleanza. Poi un giorno arrivò anche Caterino.
Quattro raid. Ma perché Giuseppe Caterino chiese aiuto a Maniero proprio in quel momento storico? Per dare una risposta a questa domanda bisogna fare un passo indietro. La guerra fra i De Falco e i Casalesi di Caterino a Modena scoppiò proprio nei primi mesi del 1991. Entrambi i clan erano parte integrante della «Nuova Famiglia» che raggruppava i gruppi camorristici campani. Ma il 13 dicembre 1990 con l’ arresto da parte dei carabinieri dei boss della «Nova Famiglia» (Francesco Schiavone, detto «Sandokan», Francesco Bidognetti e di Diana Raffaele detto «Rafaelotto», tutti presi nell'abitazione del vicesindaco di di Casal Di Principe ad Aversa), iniziò la «guerra« fra clan per la successione al potere. Guerra esportata anche a Modena, dove esponenti del clan De Falco fecero subito pressione sui rivali perché chiudessero le bische.
La reazione della Banda Maniero fu violenta. Quattro, come detto, furono i raid messi a segno. Nei verbali ne parlano un po’ tutti: da Felice Maniero nel suo interrogatorio fiume del 1995, ma anche suo cugino Giulio Maniero, Andrea Zammattio, Giuliano Ferrato. Tutti concordi nel dire che erano azioni dimostrative e punitive contro i gestori dei circoli concorrenti ai Casalesi, con cui Maniero aveva un accordo.
(1- continua)
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