Gli elettori veneti vengono dopo

Tra bracci di ferro su mandati e candidature fantasma, il Veneto si prepara alle elezioni regionali tra incertezze, scontri interni e programmi assenti. Un voto che sembra riguardare più i partiti che gli elettori

Francesco JoriFrancesco Jori
Veneto, elezioni senza candidati: centrodestra e centrosinistra nel caos
Veneto, elezioni senza candidati: centrodestra e centrosinistra nel caos

Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Nell’approccio al voto che determinerà il governo del Veneto, la politica si muove in modalità “affari miei” anziché degli elettori. Ci hanno sfinìto per mesi nello stucchevole braccio di ferro sul terzo mandato (il quarto, nel caso di Zaia), facendone un caso nazionale anche se non interessava a nessuno (Salvini compreso), tranne che ai leghisti veneti.

Più che legittimo per l’ormai ex governatore rivendicare un nuovo mandato; inaccettabile farne un caso di lesa maestà, specie per uno che ha esercitato il ruolo per quindici anni, il doppio di un qualsiasi presidente degli Stati Uniti. Adesso ci stiamo sciroppando la discussione sul quando, se votare a scadenza naturale o differita. L’unico ingrediente che manca davvero è il più importante: i candidati dei due schieramenti, e i rispettivi programmi. Cioè non solo chi, ma cosa intende fare una volta eletto.

Il centrodestra è aggrovigliato da mò sull’urticante “a chi tocca” tra Fratelli d’Italia e Lega. Logica vorrebbe che spettasse ai meloniani, visto che tra politiche ed europee vantano un rapporto di consensi di 3 a 1; ma il potere ha logiche che travalicano la ragione. Due cose sono chiare, a prescindere dall’esito: la scelta sarà fatta a Roma con criteri estranei al Veneto, alla faccia dell’autonomia conclamata; l’accordo sulla presidenza avrà ampie compensazioni negli incarichi di giunta, ponendo i presupposti per una legislatura a due litigiosa e tormentata. L’esatto opposto di quella appena conclusa, dove l’exploit elettorale aveva dato vita a uno Zaiastan basato sulla monarchia assoluta. Resta scoperto un aspetto: ormai in piena estate, gli elettori veneti di centrodestra avrebbero il piacere ma soprattutto il diritto di scoprire il nome, la faccia e le idee di chi dovranno votare.

È una curiosità che non riguarda i loro colleghi dello schieramento opposto: ai quali la coalizione sta per assegnare un candidato della serie “chi era costui?”, a conclusione di uno sfibrante bisticcio di mesi in cui sono stati messi in campo e bruciati volti di ogni tipo e colore, non di rado a loro insaputa: da vip autentici e sedicenti tali, a fedelissimi di partito con l’intermezzo di feroci scontri di campanile che hanno messo in campo nomi alternativi.

Uno per il Pd di Padova, due per quello di Vicenza, tre per quello di Verona; il tutto nel silenzio tombale dei vertici regionali. Alla fine è prevalsa la non-scelta di una figura definita “sbiadita” dall’interno dello stesso centrosinistra, in ossequio al dogma del campo largo; che nella realtà veneta significa un insieme di campicelli bonsai attorno al terreno di un Pd veneto arido di voti come non mai.

La scelta prevalsa non reca giustizia allo stesso candidato, Giovanni Manildo, degnissima persona. Ma è un’autentica presa in giro presentarlo come “l’uomo che ha battuto la Lega”: è stato sì sindaco di Treviso, ma sconfiggendo un Carroccio reduce dallo stremante ventennio dell’ingombrante Gentilini, sindaco per dieci anni, vice per altrettanti (da sindaco-ombra), e che si era ostinato a ripresentarsi. Lo stesso Manildo cinque anni dopo ha riconsegnato la città alla Lega, tra i pochissimi sindaci di capoluogo a non ottenere un secondo mandato. E da sette anni è assente dalla scena politica. Non sarà certo lui la figura capace non certo di sconfiggere un centrodestra più che mai egemone, ma anche solo di impersonare nella prossima legislatura quel ruolo-chiave di autentica guida dell’opposizione che manca da trent’anni.

Che dire, al tirar delle somme, pensando agli elettori veneti di qualsiasi parte? Viene in mente il titolo di una memorabile quanto sconfortante canzone dei Gufi: “Non spingete, scappiamo anche noi”. —

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