Elezioni regionali, fuoco amico di Salvini contro Zaia: «Si voti a ottobre»
L’assemblea della Lega: nessuno dei parlamentari eletti in Veneto ha difeso l’opzione estiva del governatore
VENEZIA. Cala il sipario sull’ipotesi di elezioni regionali a luglio e Luca Zaia, acceso fautore dell’opzione estiva, reagisce con sdegno: «Sarebbe una sospensione della democrazia, un pessimo segnale dell’Italia al mondo, tra due mesi ogni attività sarà riaperta, si potrà andare al mare ma non esercitare un diritto costituzionale. Chi evoca fantomatici pericoli mira soltanto a prorogare poltrone e stipendi, mi auguro che il presidente Mattarella prenda a cuore la vicenda. Rinviare le elezioni all’autunno è un gesto irresponsabile, i virologi hanno già ventilato una seconda ondata di contagio, evidentemente il vero obiettivo è impedire ai cittadini di scegliere chi li amministrerà».
«La demcorazia è sospesa»
La sfuriata del governatore, nella realtà, ha più destinatari. Il primo, esplicito, è il Governo che ha scelto di ignorare l’appello congiunto di cinque delle sei regioni attese alle urne – Liguria, Veneto, a Marche, Campania, Puglia, si è sfilata invece la Toscana – dopo averne a più riprese ventilato l’accoglimento. Gli altri, sottinteso ma più inattesi e insidioso, sono Matteo Salvini e i parlamentari leghisti nostrani. Mercoledì, il segretario della Lega ha riunito in assemblea deputati e senatori comunicando loro, en passant, che la data elettorale indicata dal partito è quella di ottobre. Ebbene, dei 32 eletti in Veneto, nessuno ha battuto ciglio né, tantomeno, si è premurato di difendere le ragioni del governatore di Palazzo Balbi. Un fuoco amico in piena regola.
Le grandi manovre lumbard
La circostanza va ben oltre un dissidio sul calendario. Ai vertici del Carroccio è palpabile ormai l’insofferenza verso l’ascesa di popolarità di Zaia: evidenziata da un sondaggio di Repubblica che gli assegna la piazza d’onore del gradimento nazionale (a precederlo è soltanto il premier Conte) e ribadita dal Financial Times, lesto a definirlo l’astro nascente della politica italiana. Abbastanza per allarmare il Capitano, in crisi di consensi e incapace a tutt’oggi di ritrovare lo smalto vincente evaporato tra i fumi del Papeete, allorché decretò la fine del governo gialloverde rianimando d’incanto un centrosinistra in coma profondo. Né a rasserenarlo sono valse le assicurazioni del potenziale rivale («Non ho ambizioni romane, ho lasciato un ministero per tornare qui e ci resterò»), sempre più corteggiato da media e opinion makers.
Le due anime del partito
Più ancora, colpisce la frattura tra il gruppone cooptato in Parlamento – figlio legittimo delle liste compilate da Gianantonio Da Re e Massimo Bitonci – e il circuito di amministratori regionali e sindaci schierati al fianco del governatore. Quest’ultimo, domata l’emergenza epidemica, dovrà fronteggiare l’offensiva (mai dichiarata e perciò più temibile) degli eterni fratelli maggiori lumbard spalleggiati dai salviniani locali. Ritardato, e forse lievemente intaccato, lo scontato successo elettorale del governatore, ora proveranno a isolarlo nelle sezioni per sgambettarlo infine nella corsa alla Regione piazzando candidati allineati a Via Bellerio in grado di condizionarne l’operato. Forse ci riusciranno, forse no. Certo dovranno sfidare l’opinione pubblica e rivelare – nella congiura – doti superiori a quella manifestate nella costruzione del consenso. —
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