Ex Dc, “reduci” e popolo in silenzio per Cremonese

Montemerlo, al proprio funerale l’ex capo doroteo non ha voluto alcun discorso Dopo tanti anni il ritorno di Creuso, Fracanzani, Carollo, Bottin, Falcier e D’Agrò

MONTEMERLO. «Dì ai tuoi colleghi che se non avessi fatto del bene non ci sarebbe qui tutta questa gente. Quindi il male che hanno scritto di me non è tutto vero. Forse anche loro sbagliano qualche volta». Franco Cremonese ce lo disse con un lampo di fierezza negli occhi umidi di pianto al funerale di sua moglie, la Tita, l’11 novembre 2004. Scegliamo questa frase anche per il suo funerale, celebrato ieri senza discorsi e senza applausi, per sua espressa volontà, in una chiesa piena di gente come lo fu a Valnogaredo, 14 anni fa. Solo le note di “Signore delle cime” e il canto dell’addio degli scout. Una marea di visi sconosciuti, gente normale, popolo. «Questa era la Dc di un tempo», dice Paolo Giaretta. Lui e i “soliti noti” sono in assoluta minoranza. A parte che ormai non sono più tanto noti.

Ma è attorno a loro che prima e dopo la cerimonia si creano capannelli, si stringono le mani. È il Veneto che faceva parlare l’Italia e ha appeso la politica a un chiodo. Vecchie glorie. O polvere di stelle, se preferite. Maurizio Creuso, per esempio: lo davano disperso in Canada, invece scopri che andava spesso a trovare Franco all’Oic. Creuso passa da un gruppetto all’altro, si ferma a parlare di vitalizi con Luigi Covolo. Gigi Capuzzo, braccio destro di Carlo Fracanzani, ti sogguarda come un tempo. E lui, il “conte rosso” come lo chiamavamo nel ’68, quando era il più giovane parlamentare d’Italia e nel Veneto rappresentava l’alternativa a Toni Bisaglia. Oggi Fracanzani ha 83 anni ben portati: «Mica tanto, ho avuto un intervento a un ginocchio».

Ci sono i professionisti cresciuti nel giro della Dc degli anni Ottanta, come l’ingegner Furlan, progettista di Sfmr: stretta di mano rapida e poca voglia di parlare. C’è Francesco Moschetti, in corsa per la presidenza della Fondazione Cariparo. Il parroco don Cornelio Boesso si preoccupa che il neodeputato Piergiorgio Cortellazzo abbia scorto lo scivolo per la carrozzina: ma Pigi ha problemi alle gambe non alla vista, per un politico sarebbe grave. Nanni Deriu, che fu una colonna della chirurgia vascolare: «L’ultima volta che ho fatto la comunione me l’ha data don Mario Bisaglia, il fratello di Toni. Grande persona. Lascerò detto anch’io niente discorsi al mio funerale. E meno ancora applausi, mi farebbero venire i brividi anche da morto».

La raggelante mediocrità dei politici attuali nei discorsi di Leo Padrin e Franco Zanchin: «La cosa peggiore è il seguito popolare che hanno», dice Leo, «un consenso mai visto». Sarà mica stato per colpa vostra?, viene da chiedere. Si ferma Piero Malvestio. Passa Vendemiano Sartor e per una volta non si lamenta delle nostre cronache. Ecco un grande direttore generale della sanità veneta al quale l’amministrazione Galan non rinnovò l’incarico, Ugo Zurlo, insieme a un gruppo di cittadellesi. Tra i quali Massimo Pavin, completamente spaiato di generazione: «Accompagno mio padre che era molto amico di Franco Cremonese».

Un altro spaiato di generazione è Luca Ruffin, due volte sindaco di Lozzo, il comune del quale partì l’avventura politica di Cremonese. Scopriamo che a presentarlo a Toni Bisaglia fu l’avvocato Gianni Bessega, che era suo coetaneo: «Abbiamo fatto il liceo assieme, io venivo a studiare qui, mi fermavo a casa di Franco anche sette-otto giorni», racconta Bessega. «Poi abbiamo frequentato insieme giurisprudenza. Devo dire che Franco non era per niente portato alla politica, non gli interessava. Dopo l’incontro con Bisaglia cominciò a cambiare idea».

Ci sono assessori che furono in giunta con lui: Luigi D’Agrò, Luciano Falcier, Aldo Bottin, Giorgio Carollo, con Umberto Bocus, Giovanni Lanna, Renzo Salmaso, altri ex dirigenti regionali. «La madre di Cremonese era una Beggiato, prima cugina di mio padre», dice Ettore. «Franco ha pagato un prezzo troppo alto, aveva messo insieme le imprese venete dando loro la capacità di contare nella spartizione nazionale e questo dava fastidio. Anche lui ne era convinto».

Ci accorgiamo di Giancarlo Galan quando è già in chiesa, davanti. Alto com’è, in piedi, si vede da lontano. È dimagrito di viso, tirato. L’espressione non sai dire se è seria perché compresa del momento, o triste. Di sicuro si rispecchia più di tutti nella vicenda umana di Cremonese ed è certo che non la sta vivendo allo stesso modo. Ma da un funerale è dura recuperare energie positive. Se ne va a metà della cerimonia tagliando la folla senza fermarsi, togliendoci anche il tempo di un saluto. Ivo Rossi l’ha incontrato in stazione. Qualcun altro sa da altri che sono stati a cena con lui. Notizie riferite. Sembrano spezzoni di un racconto da reduci.

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