Ferrari taroccate, i Dubbini si difendono "Niente truffa, Montezemolo si sbaglia"

Giannandrea Dubbini, contitolare della storica azienda Diemme Caffè, si difende dall'accusa di avere venduto, assieme ai fratelli, false Ferrari d'epoca. "Tutto è cominciato con una lettera anonima che presumiamo provenga da un ex dipendente infedele. Noi ci siamo limitati a vendere venti auto ereditate da nostro padre Giulio"
PADOVA.
È amareggiato Giannandrea Dubbini per essersi ritrovato sotto i riflettori, insiema ai fratelli Federico, Sebastiano e Manuela, con l'accusa di aver venduto Ferrari «taroccate». Ma è combattivo e deciso a difendere l'onore della famiglia: «La lettera anonima che ha provocato tutto ciò presumiamo provenga da un ex dipendente infedele, già condannato in sede civile in primo e secondo grado per comportamenti che hanno causato danni alla Diemme Caffè e alla nostra famiglia tra il 1988 (anno della morte di nostro padre) e il 1997, anno del suo allontanamento».


Un dipendente, per decenni uomo di fiducia del padre, condannato al pagamento di un milione di euro per la «malagestione» dell'azienda dove aveva assunto una posizione di responsabilità con la morte del patron: ora la causa è in Cassazione. «La nostra convinzione che la lettera anonima (destinata a dare il via all'indagine) provenga da questa persona, sentita anche come teste, è data dal fatto che in essa sono riportate esattamente le marche e i modelli delle auto possedute negli anni '60, '70 e '80 da nostro padre. Solo una persona a lui molto vicina poteva conoscere tali dettagli».


Ma Giannandrea Dubbini, al timone della storica azienda del Caffè fondata dal nonno Romeo nel 1927, si difende nel merito. E, fiducioso nell'operato della magistratura, spiega di essersi subito messo a disposizione: «L'8 marzo scorso ho chiesto di essere sentito dal pm. E proprio ieri sera, dopo l'uscita della notizia sui quotidiani, è arrivata finalmente la convocazione per l'interrogatorio previsto il 23 giugno».


Dubbini non si sottrae alle domande ed è un fiume in piena quando risponde: «Noi fratelli Dubbini non abbiamo mai acquistato auto d'epoca se non una Mini Cooper del valore di 3 mila euro. Ci siamo semplicemente limitati a vendere, come è nel nostro diritto, ciò che ci era stato lasciato in eredità da nostro padre Giulio, il più importante organizzatore di eventi e gare di auto d'epoca dagli anni '60 in poi oltre che importante collezionista conosciuto anche a livello internazionale...».


Con la morte del padre «ereditammo una collezione di una ventina d'auto d'epoca, tra cui alcune Ferrari, e di svariati pezzi di ricambio... Nessuno di noi nutriva la sua stessa passione... Solo Federico ha partecipato a qualche competizione... Così, spinti dalla necessità di rafforzare patrimonialmente l'azienda che in quel periodo stava passando un momento non facile, abbiamo deciso di vendere alcune vetture». In garage ne sono rimaste 6. Eppure nessuna denuncia o lamentela è mai arrivata dai compratori. «Le macchine ereditate sono state vendute per il loro reale valore di mercato a esperti consapevoli di ciò che compravano».


Tuttavia in procura c'è una denuncia firmata dal presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo. Non fa paura: «Se Montezemolo non avesse agito con eccessiva leggerezza, inviando in procura la lettera anonima, infamante e calunniosa ricevuta in Ferrari, ma avesse accertato i fatti, questa storia si sarebbe chiarita senza strascichi giudiziari». Una delle quattro Ferrari sequestrate è stata restituita: è un originale.

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