Finozzi lascia, torna a fare l’imprenditore

Leghista dal 1984, si dimette dal Consiglio regionale dopo 18 anni: «Doppio lavoro? Mai con ottomila euro al mese»

VENEZIA. Marino Finozzi ieri si è dimesso da consigliere regionale e dopo 18 anni torna a fare l’imprenditore con un’attività di turismo sociale nell’Alto vicentino. Un fulmine a ciel sereno, che ha sorpreso il presidente Roberto Ciambetti: Finozzi è la tessera numero 1 della Lega di Vicenza dal 1984 e se la tiene stretta come una reliquia. Lascia Palazzo Ferro Fini per un solo motivo: «Non si possono fare bene due lavori contemporaneamente, quello dell’imprenditore del turismo sociale e quello di consigliere regionale e presidente della prima commissione, carica che ricoprivo fino a ieri. Anche perché lo stipendio è di 8 mila euro, soldi dei cittadini, quindi ho scelto di lasciare la politica», dice mentre sta tornando a Vicenza in treno.

Presidente Finozzi, lei se ne va dopo aver approvato la legge elettorale che le consente di restare sine die a palazzo Ferro Fini. Ha difeso con disciplina una causa che non condivideva. Come mai?

«È la dimostrazione più chiara e lampante che non si tratta di una legge ad personam, nel senso che non mi riguarda. La richiesta è stata presentata da alcuni consiglieri e io ne ho preso atto come relatore, poi è stata la maggioranza ad approvarla. La norma che cancella il vincolo del doppio mandato è la parte meno nobile».

Ma le sue dimissioni sono un segnale ai colleghi che vogliono restare incollati per sempre alla poltrona?

«Non mi permetterei mai. Ci stavo pensando da un anno. È una scelta personale, è la mia ultima legislatura e non sono un dipendente pubblico. Avevo un’azienda di arredamento ma la crisi del 2007 me l’ha portata via. Resto convinto che non si può far bene l’imprenditore e contemporaneamente il consigliere o l’assessore regionale. Siccome ho 57 anni, ho pensato di mettere in piedi un’attività di agricoltura e turismo sociale ai piedi dell’altopiano di Asiago e mi sono detto: perché non farlo ora e attendere il 2020?»

Ma le avranno chiesto di restare, ce ne sono tanti di imprenditori e liberi professionisti in consiglio regionale.

«Certo, mi hanno detto: resta qui, tira avanti due anni. Io però non me la sento di portare a casa 8 mila euro al mese vivacchiando e ho deciso di uscire da palazzo Ferro Fini per una scelta stimolante: voglio realizzare ciò che teorizzavo da assessore con il turismo sociale accessibile».

Ma ci sono diverse persone con il “doppio lavoro” sedute sui banchi in Regione o no?

«Non mi permetto di giudicare i comportamenti degli altri: oggi l’attività in Regione è totalizzante. Non do nessuna pagella ai colleghi».

Che bilancio traccia di questi 18 anni di amministratore del Veneto. E che differenza c’è tra Galan e Zaia?

«Dal 2000 al 2005 sono stato assessore alla piccola e media impresa con Galan, nella legislatura successiva ho fatto il presidente del consiglio regionale, dal 2010-15 assessore al Turismo con Zaia e ora presidente della I commissione. Il confronto Galan-Zaia? C’è un abisso. Lasciamo perdere lo scandalo Mose, come presidente Galan aveva lo stile da manager: qui comando io, la sua parola era legge. Zaia invece ha sempre collaborato con gli assessori, un vero amministratore. E poi a Galan l’autonomia del Veneto non interessava, mentre Zaia la sta portando avanti con determinazione. C’è una congiunzione astrale particolarissima: il ministro degli Affari Regionali Erika Stefani e il governatore Luca Zaia sapranno regalare l’autonomia e io così ho ritenuto di concludere il mio percorso nella Lega. La mia fiducia è totale: ora o mai più».

Insomma, lei dorme tranquillo, all’autonomia ci pensano Zaia e la Stefani, ma la bandiera dell’indipendenza è ammainata per sempre?

«No, un passo alla volta. L’indipendenza resta un sogno e non ne vedrò la realizzazione. Invece ricordo con orgoglio di aver avviato nel 2007 l’analisi dei costi standard, del residuo fiscale e dell’impianto legislativo che ha portato al referendum del 22 ottobre. Tutto questo grazie alla collaborazione del centro studi della Camera di commercio. La nostra idea legata alla rivalutazione della Repubblica di Venezia è stata la spinta alla svolta federalista, ci siamo confrontati con la Catalogna, il Tirolo, la Baviera. Dieci anni dopo, il referendum ha coronato il sogno».

Dottor Finozzi, quando è entrato in politica? E tra Bossi e Salvini chi preferisce?

«Sono la tessera numero 1 della Liga Veneta, me l’ha firmata Marilena Marin, la moglie di Franco Rocchetta. Bossi? È un vero leader, che dopo la malattia si è attorniato di persone in malafede. Salvini? Ha ripreso la strada di Bossi, con la sua straordinaria capacità di comunicare cambierà l’Italia. Un plauso per la determinazione, ma la Lega sovranista mi lascia perplesso. Non mi sento né di destra né di centro: sono figlio di contadini e ho sempre usato il buon senso».

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