Garofano rosso tra le mani l’addio a Gianni De Michelis

VENEZIA. La camera ardente dell’ospedale, nella chiesa dei Mendicanti, senza fiori. Gli amici con gli occhi lucidi, la famiglia che chiede discrezione. I funerali privati che saranno celebrati oggi, la cremazione. Colui che fu il potente «doge» socialista della Prima Repubblica riposa nella cassa di legno bianco. In mano gli hanno messo un Garofano rosso, il simbolo del suo impegno politico di una vita. Più in là una piccola corona, sempre di garofani. Gianni De Michelis è lì, come tutti i comuni mortali. Il tratto fiero del volto provato da una malattia crudele, i proverbiali capelli tirati all’indietro.
Il primo a entrare, poco dopo le 10, è Nereo Laroni. Il «sindaco manager» era qualcosa di più di un vecchio amico per Gianni. Era stato il simbolo delle battaglie politiche degli anni Ottanta. Quando delle parole “maggioritario” e “Tangentopoli” non si sapeva ancora il significato.
Il grande progetto riformista che Gianni De Michelis aveva condiviso con la corrente lombardiana del partito, poi con l’emergente Bettino Craxi. Gli anni della «staffetta» con Ciriaco De Mita, dei progetti “futuristi”, a cominciare dall’Expo Duemila, poi bocciata dall’Europa. Laroni è commosso. «Era un grande», dice tra le lacrime, «non tutti gli hanno reso giustizia in questi giorni». Davanti al feretro il nipote, la prima moglie Francesca Bernabò, la fedele segretaria Nadia. E loro, i socialisti. La famiglia del «doge» che con lui non ha mai interrotto il sodalizio. Vittorio Salvagno, segretario tuttofare. Dino Piovesan, l’ex rettore Iuav Amerigo Restucci, Mario Dalla Tor, Renato Chisso. «Non possiamo non rendere omaggio a questa grande figura, di socialista e di veneziano», dice commosso Luigi Giordani. E ricorda gli inizi della sua carriera politica. «A Venezia avevamo fondato la corrente lombardiana», attacca, «insieme a Stefano Petris e Renato Nardi. Cercavamo giovani volenterosi. E in campo Manin, dov’era la sede del partito monarchico, abbiamo conosciuto Gianni, che proveniva da lì. Un’alleanza che non si è più interrotta. Gianni De Michelis, lascia un vuoto politico».
C’è chi lo ricorda, cinquantenne all’apice della carriera, quando partecipava ai Consigli comunali a Ca’ Loredan. Allora un luogo di altissimo livello, con politici come Bruno Visentini, Costante Degan, Gianni Pellicani. E lo stesso De Michelis. Alle 13 si è visto alla camera ardente anche il sindaco Luigi Brugnaro: «Ho voluto rendere omaggio a Gianni De Michelis, un vero statista e un grande veneziano che ha sempre avuto a cuore la nostra città». —
A.V.
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