Ghetto, nuova emergenza spacciatori Ecco dove viene nascosta la droga
"Nelle vie Papafava, Meneghini e Rialto di sera non passa anima viva - dice un veterano del quartiere -. Mentre gli abitanti del quartiere a ridosso delle Piazze sono alle prese con 'spritzettari' e degrado, le zone interne del Ghetto sono in balia degli spacciatori"

La finestra a pianterreno di un antico palazzo del Ghetto, in via Meneghini, s’apre belando con quei gracili vetri ingialliti dal tempo ma protetti da una robusta inferriata ad impedire intrusioni. Chiara, una signora dal tratto distintivo, parla sottovoce temendo che qualcuno l’ascolti.
«In apparenza, la situazione sembra migliorata, sia per quanto concerne il degrado che lo smercio di droga. Non è così. In realtà gli spacciatori hanno cambiato look. L’approccio con il cliente appare diverso, più sofisticato e accurato di prima. Negli ultimi tempi gira per le strade del Ghetto un pusher nordafricano che definirei un “figo”: alto, magro, faccia scavata e vestiti firmati ma portati con nonchalance, senza eccedere troppo nelle griffe. E’ pure simpatico e comunicativo con la gente. Gira tranquillamente per il quartiere e frequenta quasi tutti i bar della zona assumendo l’aria del bravo commesso che non vuole venderti la merce per forza bensì socializzare. Ti dà fumo, erba o «neve» solo a richiesta».
Con lui non si sniffa cocaina ma si «cattura un sogno». Spacciatore e filosofo insieme, adatto a coltivare rampolli della Padova-bene che in questi ultimi anni hanno speso piccole fortune con gli avvovcati per tirare fuori dai guai i loro loro figli minorenni beccati nel «giro della droga» alle Piazze e davanti al sagrato del Duomo.
A fungere da contrappasso, un esercito di giovani sfatti dall’eroina si serve invece di galoppini dello spaccio vecchia maniera. Tra questi un magrebino con basco e giubbotto. Corridore ciclista per necessità, percorre fior di chilometri al giorno con la sua «Graziella» facendo la spola tra le Piazze, dove prende nota degli ordinativi dei clienti, e le strade del Ghetto dove sta nascosta la «roba». Sparpagliata in più punti. Ne coglie di volta in volta due-tre dosi al massino, così da evitare i guai penali della «non modica quantità» in caso d’arresto.
A farci da Cicerone nei labirinti pietrosi del Ghetto è un veterano del quartiere. Andiamo a caccia dei nascondigli della droga, con un fremere d’inquietudine al minimo rumore di passi.
La ricerca inizia in via Papafava. Abbandonata contro il muro di un palazzo, una colonnina in disuso di fibre ottiche della Telecom poi mai collocate funge da contenitore di cocaina. A fianco, il davanzale di una finestra a sbarre, frammenti di cartine arrotolate usate per fare le «piste». Dall’altro lato della strada, alla sinistra di un’altra colonnina chiusa, un buco sul muro ben mimetizzato è un altro nascondiglio sicuro.
Ma quello introvabile sta davanti allo studio del noto ginecologo Luciano Bevilacqua. Un tappo in cemento che funge da coperchio cela un vecchio chiusino dell’acqua usato dagli spaccatori come nicchia. «Ogni tanto lo trovavo scollato; non pensavo certo alla droga bensì al fatto che questo marciapiede si è abbassato per il transito pesante. Il Comune aveva promesso di rialzarlo, avvertendomi che vi sarebbero stati problemi e disagi a causa dei lavori. Da un anno aspetto inutilmente questi problemi. Intanto due pazienti si sono fatte male cadendo. Droga? Un giorno esco dallo studio tutto illuminato e trovo davanti alla porta d’ingresso due ragazzi intenti a «farsi». Li ho invitati ad andarsene, avvertendoli che ero io e non loro a pagare la bolletta della luce».
Le vie del Ghetto, anche per la storia che le accompagna, conservano un qualcosa di attraente, di torbido, di vagamente morboso. «Nelle vie Papafava, Meneghini e Rialto di sera non passa anima viva. Mentre gli abitanti del quartiere a ridosso delle Piazze sono soprattutto alle prese con “spritzettari” e degrado connesso, le zone interne del Ghetto sono invece in balia degli spacciatori. La gente non esce di casa per paura di fare qualche brutto incontro. E’ così anche in via Barbarigo e dalle parti del cinema-teatro San Pio X, dove circolano presenze inquietanti», avverte il nostro interlocutore.
L’architetto Alberto Guizzardi, una spina al fianco dell’amministrazione comunale per le promesse mai mantenute sui lavori di risistemazione dell’impianto fognario, fa il punto della situazione. «Padova è un insieme di piazze collegate tra loro, compreso Palazzo della Ragione con la sua piazza-mercato coperta e con la più grande sala pensile medioevale d’Europa. Anche il cortile del Bo e lo stesso Caffè Pedrocchi senza porte sono delle piazze. Sui tavoli di biliardo del Pedrocchi i mediatori vendevano il grano, mentre i mediatori di vacche con tanto di “bagolina” andavano dal bàcaro di piazzetta Pedrocchi a farsi “cicchetto” e “spuncioni”. E ad ogni vendita, sancivano l’accordo dandosi una botta sulle mani, dopo aver sputato sul palmo. Tra le piazze più battute è sempre stata la Piazzetta senza nome. Quella del Ghetto. Piccola ma cocotte quanto basta a favorire l’aggregazione di persone di ogni età e ceto sociale. Anche adesso è così. Gli spacciatori lo sanno e ne approfittano. Andate a vedere come sono ridotte le fioriere e capirete tutto».
Su una decina di vecchie fioriere di pietra bianca e in parte decorata, la metà è senza fiori e con terra ormai troppo contaminata per far crescere le piante. In brutta mostra, terriccio e sassi di varie forme e dimensioni. «Fino a qualche tempo fa i gatti venivano a fare la pipì. Adesso basta. Avvertono odori inusitati e scappano. A svuotare gli eccessi delle loro pinte di birra sono soltanto gli avvinazzati dei locali da spritz. Le fioriere servono anche da contenitori per camuffare le dosi di droga. Arrivano spacciatori ad ogni ora del giorno e della notte» assicura Carla, un’abitante del Ghetto.
Torniamo in via Papafava quando già il pippistrello vola fra i sottotetti da un palazzo all’altro. All’altezza del civico 9, spunta un secondo chiusino d’acqua utilizzato per camuffare eroina e coca. Più avanti, un altro ancora. Cinque diversi nascondigli in soli 50 metri.
Dietro alla quiete di facciata, favilla il demone di uno spaccio multiforme. Subdolo e inquietante quanto basta da costringere i residenti a rimanere chiusi in casa. Aspettando l’arrivo delle prime luci del giorno.
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