Giovani, la grande fuga dal Veneto: a caccia di lavoro all'estero

VENEZIA. L’Italia nel secolo precedente il 1970 è stato un grande paese di emigrazione, e il contributo del Veneto a questo esodo di massa è stato imponente. Ancora oggi ci sono luoghi del Brasile e dell’Argentina in cui si parla il dialetto veneto di fine Ottocento (il cosiddetto “tajan”). Tuttavia, nell’ultimo trentennio del Novecento le emigrazioni dall’Italia – in particolare dall’Italia del Nord – sono praticamente cessate, mentre l’Italia diventava un paese di immigrazione. Con il benessere, i tempi delle grandi emigrazioni – pieni di sofferenza e insieme di speranza – sembravano ormai tramontati. Invece, nel nuovo secolo le emigrazioni hanno ripreso vigore. Le cancellazioni verso l’estero nelle anagrafi italiane fra il 2003 e il 2013 sono raddoppiate, passando da 60 a 120 mila, sfiorando le 160 mila nel 2018.

Parte di queste cancellazioni riguardano cittadini stranieri, che ritornano nel loro paese o si spostano verso un altro stato europeo o extra europeo. Ma per la gran maggioranza dei casi si tratta di cittadini italiani: erano 50 mila del 2003, sono stati 117 mila nel 2018. In realtà, le persone uscite stabilmente dall’Italia sono molte di più, perché la cancellazione anagrafica spesso avviene parecchi anni dopo il momento dell’emigrazione, e perché molti emigrati non si cancellano affatto. Le emigrazioni del secolo fra il 1870 e il 1970 riguardarono in grandissima parte persone povere, che lasciarono la loro terra per sfuggire alla miseria. La grande novità delle emigrazioni dall’Italia di questi ultimi anni è che si sono diffuse anche nelle aree più ricche del paese e fra i figli della borghesia.
Questo fatto è evidente confrontando l’Italia con il Veneto, una delle regioni più ricche del paese, dove vive il 10% degli italiani. Nel 2003 fra i nuovi emigranti italiani, appena il 5% erano veneti. Nel 2018, invece, i veneti erano il 10%: l’anno scorso più di 15 mila veneti, in gran maggioranza giovani, si sono cancellati dalle anagrafi perché stabilmente residenti all’estero: è come se Este fosse sparita d’incanto dalla carta geografica. Le cause di questo fenomeno sono almeno quattro. In primo luogo, emigrare è oggi molto facile. Grazie a Schengen e ai voli low cost, gli spostamenti sono semplici e a buon mercato. Inoltre, grazie a skype e al roaming gratuito, oggi si può vivere a migliaia di chilometri di distanza mantenendo un continuo contatto visivo e sonoro con parenti e amici italiani.
Per le generazioni precedenti andare all’estero era una scelta di rottura, per i giovani d’oggi è diventata una possibilità come un’altra. In secondo luogo, emigrare oggi – per molti – è diventato qualcosa di attrattivo. Il figlio ventenne di un mio amico è andato a fare il mozzo su un peschereccio a Darwin, nei mari del Sud. A Chioggia lo avrebbero preso subito, ma evidentemente l’Australia è tutta un’altra cosa! In terzo luogo, molti paesi fanno ponti d’oro ai nostri giovani, specialmente se sono svegli e specializzati. In giro per il mondo servono medici, infermieri, ricercatori, ingegneri, tecnici minerari…
Le università e le scuole tecniche italiane sfornano migliaia di ragazzi di alto livello, che non esitano a partire, attratti anche da paghe più alte e da possibilità di carriera più rapide rispetto a quelle italiane. Infine, l’Italia non è un paese per giovani istruiti, a causa di una (poco nota) contingenza socio-demografica. Nel 2018 in Italia han terminato gli studi superiore 400 mila giovani mentre sono andati in pensione meno di 200 mila diplomati o laureati. Nello stesso tempo, non sono stati creati un numero sufficiente di nuovi posti di lavoro ad alta qualifica, anzi lo stesso turn over spesso non viene colmato. Ciò accade ormai da più di un decennio. Inoltre, molti titoli di studio non sono in linea con quanto richiesto dal mercato del lavoro.
Quindi per molti giovani l’alternativa è fra accettare in Italia un lavoro poco qualificato, o andare a cercare qualcosa di meglio all’estero. Anche perché la ridondanza di giovani diplomati e laureati in cerca di primo impiego ha permesso ai datori di lavoro di tenere bassi i loro salari, di non doverli allettare con possibilità di carriera e con condizioni di lavoro favorevoli, secondo la ben nota legge della domanda e dell’offerta. Il Veneto è stato toccato in modo particolare da questo fenomeno, a causa della sua attuale alta scolarità (specialmente fra le giovani donne), a fronte della scolarità particolarmente bassa dei neo-pensionati. Inoltre le scuole venete sono fra le migliori d’Italia, come dicono in modo inequivocabile i risultati dei test Invalsi e dei test d’accesso alle facoltà universitarie.
Giovani istruiti, bravi e svegli, che sanno l’inglese (e magari anche il tedesco, il francese o lo spagnolo), faticano a sopportare di essere impiegati in lavori dove non riescono a esprimere le loro potenzialità. Per i prossimi anni, i giovani migliori resteranno in Italia e nel Veneto solo se verranno loro proposti lavori qualificati, con retribuzioni adeguate, dove i capaci e meritevoli possano accedere rapidamente a ruoli di responsabilità. Ciò potrà accadere solo se lo sviluppo economico diventa dinamico, fortemente basato sulla ricerca e sulla tecnologia. In un mondo senza confini, ogni luogo deve meritarsi i suoi giovani. Altrimenti se ne vanno. —
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