Gli attori sono in galera, ma il loro film è al cinema: ecco la storia vera di un padre e dell’ultima rapina fallita
Arriva in sala “The Last Ride of the Wolves” di De Michele
girato in Veneto, coprodotto da JoleFilm, i giostrai sul set

Un’estetica inedita. Un film che scivola lungo un crinale sottilissimo, tra realtà e finzione. Dopo Rotterdam, avrà finalmente la sua anteprima italiana l’opera d’esordio dell’artista italo-olandese Alberto De Michele, “The Last Ride of the Wolves” presentato al MultiAstra di Padova il 7 marzo alle 21. “Il regista sarà presente in sala … gli attori no perché sono tutti in galera” recita il flano pubblicitario del film, a rimarcare come realtà e messa in scena si rincorrano fino a confondersi in questo documentario che diventa film di genere, ma anche confessione e flusso di pensieri.
Alberto De Michele, classe 1980, porta sullo schermo il padre Pasquale, una vita spesa fra truffe, gioco d’azzardo e rapine. Tutto vero. Anche il colpo che lo avrebbe sistemato per sempre – un agguato a un blindato portavalori – ma che non si realizzò. Il regista gli regala, nella finzione, quest’ultima rapina progettata insieme a un gruppo di giostrai soprannominati i lupi. Nel film, il regista interpreta l’autista del “boss”, un ruolo di accompagnatore, quasi di traghettatore, che assume un significato fortemente simbolico. Come se, grazie all’arte, il figlio ritrovasse il padre e viceversa in una reciproca presa di coscienza dell’altro e di incomprensioni almeno in parte dipanate.
“The Last Ride of the Wolves”, interamente girato in Veneto tra Noventa di Piave, Ponte di Piave e San Donà, è il frutto della sinergia produttiva tra l’olandese Halal e la padovana JoleFilm con Francesco Bonsembiante (che si regala anche un piccolo cameo) che hanno creduto in un progetto ardito, che esplora territori oscuri come l’intreccio di tangenziali e strade solcate di notte dall’auto di Pasquale e Alberto in cerca dei complici, tra contrattempi e divagazioni.
Con le forme del poliziottesco anni ’70, “L’ultima corsa dei lupi” afferra il genera per destrutturarlo un secondo dopo, prendendo la via del documentario con telecamere nascoste sul cruscotto o tra i sedili dell’auto e riprese dall’alto come in un circuito chiuso, spiando e osservando. Non ci sono attori professionisti: i giostrai coinvolti nella rapina hanno accettato di interpretare se stessi. Autentico e finto al tempo stesso, recitato e vissuto, sicuramente catartico per i protagonisti.
«Nonostante la distanza, i due De Michele hanno sempre mantenuto un rapporto, ma con questo film hanno vissuto qualcosa di intimo e forte che ha richiesto molto tempo di preparazione per far decidere al padre di raccontarsi e mettersi a nudo in modo totale»: così Francesco Bonsembiante sul rapporto tra Pasquale e Alberto che ha studiato alla Rietveld Academy ed è stato artista residente alla Rijksakademie di Amsterdam. Prima dell’esordio cinematografico, ha diretto il corto “I Lupi”, esposto al Centre Pompidou e al Palais de Tokyo.
Con questo film si infiltra, da “insider”, nei mondi oscuri criminali che ha conosciuto, “rubando” le storie da altri “ladri” e correndo, allo stesso tempo, il rischio di mostrare il suo lato più personale. È la rapina più grande e complicata della sua vita.
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