Ha un volto la donna ancora senza nome ripescata nel bacino

Ricostruiti in laboratorio i lineamenti della vittima di un efferato delitto
PIAZZOLA SUL BRENTA. A due anni dal ritrovamento, non ha ancora un nome e un cognome «la donna del lago», la sconosciuta ripescata nel laghetto artificiale tra Presina e Isola Mantegna, frazioni di Piazzola. Ma ha un volto. Un volto artificiale, ricreato su incarico del pm Paolo Luca dal Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense per lo studio di resti umani a fini identificativi che opera nell’Istituto di medicina legale di Milano.


Ecco quel volto di ragazzina, razza caucasica ovvero bianca, che su richiesta degli inquirenti pubblichiamo a lato: aveva i capelli lunghi (probabilmente circa 25 centimetri) di colore castano chiaro naturale e i denti centrali superiori molto sporgenti al punto da sollevarle il labbro. Era giovanissima quando è morta, fra i 17 e i 22 anni. Probabilmente fumava già molto (l’incisivo superiore sinistro presenta una chiazza giallastra), aveva avuto una scarsa igiene dentale nel corso della sua breve esistenza e nessuna cura dentaria visibile. Nei quattro anni precedenti alla sua morte violenta aveva riportato una frattura al ginocchio sinistro e tuttavia aveva anche svolto un’intensa attività fisica agli arti inferiori (come camminare o correre in particolare su terreni accidentati). Una morte più che violenta, brutale e crudele.




L’assassino (o gli assassini) l’hanno massacrata di pugni, colpendo in particolare alla bocca con una forza da farle saltare un’intera arcata dentaria e molti denti. Poi sono risultati evidenti i segni di incisioni sulle costole, sintomo chiaro di accoltellamento. È il 16 aprile 2007 quando il cadavere di questa sfortunata ragazza, ancora senza nome, viene scoperto nel bacino artificiale della frazione di Piazzola da due ragazzini di 13 e 11 anni che cercano canne di bambù per costruire una capanna. Da un sacco nero, utilizzato per l’immondizia, spuntano delle ossa. E loro, terrorizzati, danno l’allarme. Il corpo della sconosciuta è ridotto a un pacco zavorrato con pietre e legato con nodi tipo savoia, tra quelli più usati dai velisti. È per lo più uno scheletro con la testa staccata e porzioni di corpo ormai saponificate, avvolti in una coperta di lana marrone in dotazione esclusiva alle forze dell’ordine.


Eppure è ancora integra la biancheria che indossa: un reggiseno nero, delle calze sempre nere e un perizoma bianco con due teschi di colore rosato. Al polso sinistro (o quel che resta) un bracciale in metallo giallo e all’orecchio (si fa per dire) un orecchino sempre d’oro risultato prodotto da un’azienda di Arezzo. Intorno al collo il cavo elettrico di un caricabatterie, ultimo segno di spregio o forse strumento per togliere l’ultimo fiato di vita a quella povera ragazzina. Qualcuno potrebbe riconoscerla in questa ricostruzione di laboratorio: sarebbe utile, se non a risolvere un delitto, almeno a dare un nome a questa vittima di un omicida ancora ignoto.

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