I mille indiani del Punjab e Rajastancommercio, impresa e la passione per il cricket

Raffinatissime nei loro sari colorati quintessenza dell’eleganza, con i capelli neri lunghi lunghi e un bindi in fronte (in hindi vuol dire goccia, sono quei brillantini da applicare tra un sopracciglio e l’altro), a Padova le donne indiane immigrate sono cittadine di un popolo femminile poco numeroso e ancora invisibile. E’ un arrivo recente il loro, sulla scia del ricongiungimento familiare con mariti che da anni già vivono qui; hanno figli piccoli e fanno le casalinghe. La loro integrazione si gioca dentro le pareti domestiche, sono poche quelle che hanno un lavoro fuori. Ma basta spostarsi di pochi chilometri e arrivare nelle concerie del Chiampo o negli allevamenti del mantovano e dell’Emilia, lì dove l’immigrazione indiana ha una lunga storia, e la situazione cambia parecchio.
Un migliaio a Padova. 10mila in Veneto
A Padova gli indiani sono 500 (più di 1000 provincia compresa) per lo più provenienti dalle regioni del Punjab e del Rajastan; in Veneto circa 10 mila (su un totale di 398 mila stranieri), in Italia sono 70 mila su quasi 3 milioni di stranieri: è una comunità al maschile, fatta di donne solo per un terzo, e a livello nazionale si colloca al decimo posto per presenze di immigrati, dopo la Polonia e prima dell’Ecuador. Tanto per fare delle proporzioni, l’India ha un miliardo e 200 milioni di abitanti - secondo Paese più popolato al mondo dopo la Cina - e 15 milioni di nascite all’anno danno un bello spintone alla crescita demografica di uno Stato in pieno, clamoroso sviluppo, che esporta manager e scienziati ed è ai primi posti nel mondo per la produzione di software. Dove industria e finanza producono smisurate ricchezze e dove il 76% della popolazione vive nell’arretratezza delle zone rurali, che vuol dire, povertà a parte, il perdurare di vessazioni nei confronti delle donne, come le vedove che praticamente perdono il diritto ad esistere o le giovani che si suicidano perché costrette a sposarsi o perché vige il sistema della dote, stabilita dalla famiglia del futuro marito. Se la dote non basta, niente nozze: meglio morire.
O come l’aborto selettivo che, benchè illegale dal 1994, continua ad essere praticato: amniocentesi e, se è femmina, via. Il 90% dei feti abortiti sarebbero stati bambine.
Una comunità al maschile
Uno Stato dove il sistema delle caste è ancora diffuso, dove a una selezione per qualche migliaio di operatori di call center hanno risposto in 80 mila, dove l’industria cinematografica di Bollywood sforna 300 film al giorno; dove spiccano sofisticate eccellenze ma che ha il primato del lavoro minorile (da 14 a 100, proprio cento, milioni secondo l’Unicef: la stima è impossibile). L’India, dove la Costituzione riconosce 18 lingue (hindi, inglese, bengali, tamil, punjab e via) e dove si parlano centinaia di dialetti; la grande madre delle esperienze spirituali e il Paese delle religioni.
200 firme per un tempio sikh in città
A partire dall’induismo - che accoglie il 70% della popolazione e, senza dottrina né dogmi, diffonde su tutto un senso del sacro impersonale, a portata di vita quotidiana - con i suoi templi e il suo pantheon di dèi capeggiati dalla trimurti Brahma il creatore, Vishnu il conservatore, Shiva il distruttore. Al buddhismo, praticato prevalentemente da profughi tibetani e immigrati nepalesi, con i suoi monasteri (Siddharta nacque nell’India nord-orientale nel 560 a.C., e il Dalai Lama dal 1959 lì è in esilio e sono problemi nei rapporti con la Cina) all’islamismo (quasi 200 milioni di musulmani) con le sue moschee, alla religione Sikh con lo scintillante tempio di Amristar e a quella cristiana con chiese soprattutto nel Kerala e Goa. Più un bel po’ di religioni minori.
E un tempio Sikh è in arrivo anche a Padova: già ce ne sono 3 a Vicenza, 2 a Pordenone, 1 a Verona e uno a Reggio Emilia, solo per stare in zona. La comunità indiana ha raccolto 200 firme, sono in corso contatti con il Comune: «se ci darà uno stabile da ristrutturare potrebbe essere pronto in 6 mesi, altrimenti lo troveremo noi».
A parlare è Raghvir Singh, 35 anni, nato a Ludhiana nel Punjab, da famiglia benestante (i genitori sono titolari di un caseificio) che è arrivato a 19 anni dopo il college per una vacanza, e non è più tornato a casa: «doveva essere un’avventura, è diventata la vita». Il suo primo impatto - sconvolgente - con l’Italia sono state le calze nere di una donna; era a Fiumicino, appena sceso dal volo aereo in business class: «Prendo l’autobus per andare in centro e vedo una ragazza con il vestito corto e le gambe tutte nere! Ero stupefatto, non avevo mai visto una con le calze».
Raghvir, re del traffico aereo etnico
Raghvir è sposato con una ragazza moldava, ha due figli che frequentano la scuola Teresianum, abita in centro storico ed è un vulcano. Ora ha un’agenzia, «Erik Aviation», è in vicolo Aspetti, e si occupa di traffico aereo etnico per tutto il mondo: vende i biglietti scontati per i viaggi in patria degli stranieri che lavorano in Italia.
Sulle tariffe è un risparmio di circa 200 euro, ottenibile solo da chi nel Paese di destinazione ci è nato. Un esempio: un volo a/r per il Rajastan (la regione dei Sikh) costa 550 euro contro gli 800 di un biglietti normale. Raghvir ha la concessione dalle più grandi compagnie aeree e lavora su tutto il territorio nazionale. Fa partire 10 mila indiani ogni anno, 450 dei quali residenti a Padova ma «copre» anche Africa, Est, Asia fuorché la Cina.
Surendra Narne e il cricket al Fistomba
Raghvir, tipo sportivo oltre che fascinoso come molti uomini indiani - primo tra tutti per anzianità l’immigrato eccellente Surendra Narne, che nel 1957 fu il primo indiano ad arrivare a Padova dove si laureò in Medicina, mise su famiglia e diventò primario di Otorino, una carriera sfolgorante, nome di punta in Forza Italia e cognome di peso in città - è anche patron della squadra Ib Cricket (lo sport più popolare nel subcontinente indiano) messa in piedi due anni fa nella quale giocano indiani: anche i cingalesi hanno la loro.
Ma non c’è un campo a Padova (le dimensioni regolamentari sono 140x140 e le partite possono durare da 3 ore a giorni interi): hanno chiesto uno spazio al Comune che forse lo darà vicino allo stadio, intanto la squadra si allena a Vicenza mentre il sabato e la domenica gli appassionati giocano nel parco Fistomba alla Stanga.
Turisti indiani in arrivo e al bar entra Tandoori
Gli indiani, che non respirano in comunità come i filippini e non vivono in un mondo a parte come i cinesi, si ritrovano spesso nei «loro» ottimi ristoranti: il più lussuoso Rangoli in via Aspetti 116 (che fa parte di una catena internazionale), il nuovissimo Buddha in via Giotto 33 e il Jaipur Samrat in via Aspetti 51 il cui titolare, Tanwar «Taru», è una presenza particolarmente attiva e propositiva a livello associativo per la comunità indiana.
Paese di grandi, emergenti ricchezze, l’India, con ricadute che cominciano a raggiungere Padova. Turistiche per esempio.
Sono arrivati (da ieri e fino alla fine di settembre), gruppi organizzati di numero variabile tra 50 e 100 persone, famiglie per lo più, che faranno base all’hotel Mantegna di via Tommaseo per la tappa veneta del loro viaggio in Italia. Colazione in hotel, pranzo in giro e la sera cena: il tour operator ha chiesto per loro cibi indiani e la cosa ha richiesto un passo organizzativo ulteriore.
Considerata l’impossibilità del Mantegna di fornire un menu a base di rosso chicken tandoori, riso basmati con curry e zafferano, nan (le deliziose focaccine di farina bianca) e via rallegrando il palato, hanno dovuto rivolgersi a un catering: un ristorante indiano di Verona che ogni sera si occuperà di tutto.
Non all’interno dell’hotel, però: difficile la presenza contemporanea nelle cucine e nella sala ristorante del personale interno e di quello del catering. Risultato, una convenzione con il vicinissimo caffè Tommaseo, il cui titolare ha richiesto in tutta fretta il permesso di apertura serale per ospitare, in un paio di turni dalle 19 in avanti, le cene dei turisti indiani. Menu a buffet, penserà ad ogni cosa il servizio catering.
Dall'India a Padova per arredare la casa
Turismo straricco è invece quello delle sei persone, tre coppie indiane, che hanno appena acquistato i biglietti aerei per Padova: vedranno anche Giotto e il Salone, ma soprattutto visiteranno fabbriche e negozi di mobili nell’Alta dove sceglieranno l’intero arredamento di casa che verrà poi spedito in India. Mica bazzecole.
A Padova alcuni degli immigrati indiani sono commercianti (ma fruttivendoli e ambulanti sono per lo più pakistani), altri vendono fiori ai semafori (ma la maggioranza è del Bangladesh), i più lavorano nelle fabbriche. Oltre agli studenti e ai laureati che qui intraprendono carriere alte come il ventottenne architetto indiano, arrivato per un master alla Bocconi, per cui lo sportello delle Acli ha appena finito le pratiche di conversione del permesso di soggiorno essendo lui stato assunto da una grande azienda padovana. «Nel capuluogo la presenza di lavoratori indiani è legata all’attività di ristorazione e ai servizi, in provincia, nell’Alta in particolare, all’industria in ruolo poco qualificati. Qui ancora non c’è la valorizzazione di quelle sofisticate competenze in ingegneria o informatica che produce l’India, come invece accade in Lombardia».
A parlare è Marco Ferrero, presidente provinciale delle Acli e avvocato, che spiega come quella indiana sia una comunità per nulla problematica, estranea alla microcriminalità.
E come qui arrivino giovani uomini soli: «Ci sono tre tipologie precise nell’immigrazione: i senegalesi, vu’ cumprà, che le mogli non le portano proprio; le donne dell’Est che invece fanno da apripista e sono loro dopo alcuni anni a far venire marito e figli. E gli indiani, come nella prima immigrazione dal Maghreb di vent’anni fa, che vengono, lavorano e poi pensano al ricongiungimento familiare».
Salaam Padova
Argomenti:immigrazione
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