I miracoli e la scienza: la commovente lettera della mamma di una bambina salvata dal professor Basso
«Esiste solo la scienza» mi diceva. Eppure io l’ho visto il miracolo, in quelle foto, in quegli occhi adulti che rischiavano di non diventare mai grandi. Ora, professore, lei vive dentro la vita di tutti i suoi bambini

PADOVA. «Si può anche sorridere ogni tanto». «Be’ io non ho nessun motivo per sorridere». Ricordo anche dove è successo, metà del corridoio del reparto di Oncoematologia pediatrica di Padova. Io scontrosa, incazzata, una bestia ferita, trasudante odio e disprezzo per chiunque. Gli voltai le spalle, senza altra parola.
Tempo dieci minuti e si venne ad affacciare nella stanza dove era mia figlia: «Non volevo ferirla, lo so che non è facile, ma deve avere fiducia, noi ce la metteremo tutta».
Questo era il professor Giuseppe Basso. Un uomo alto e gentile, con una galanteria di altri tempi. Umile, per mostrarsi all’altezza della devastazione che è il cancro di un bambino, di un figlio. Anche quando quelle persone, come ero io, sono esseri umani spaventati e annichiliti, capaci solo di sputare dolore e rabbia.
Ci veniva a salutare ogni giorno, letto per letto, solo un «Ciao come andiamo?». Solo per vedere i suoi bambini, i suoi ragazzi. Vengono chiamati così, lì dentro, con l’aggettivo possessivo davanti, perché quelle vite, le persone che abitano oncoematologia pediatrica, le sentono come proprie. È una loro responsabilità.
Non riesco ad immaginare niente di più grande. Salvare (o perdere) la vita di un bambino è un’emozione sovrastante, non esserne esaltati o schiacciati è qualcosa che esce dalla mia possibilità di comprensione.
Abbiamo fatto un viaggio a Roma, qualche anno fa, per andare a parlare di vaccini in tv. Io portavo la mia esperienza di mamma, lui la sua visione di medico in dialogo quotidiano con la morte e con la vita, oltre il tentativo della morte.
Mi disse: «L’oncoematologia pediatrica è stata una delle vittorie della medicina. La più straordinaria delle vittorie. Perché una volta morivano, sai, morivano quasi tutti». E poi aggiunse: «All’inizio non ci credevi, adesso invece ti fidi di noi». Non si era arreso con me, non si è arreso con tanti. Neppure con i genitori di Eleonora, negarono l’autorizzazione alla chemioterapia. Lei morì in sei mesi. Era stata una sua battaglia, persa, perché la leucemia se non la curi non dà il tempo di ripensarci...

Avevo detto a mia figlia che stava male, prof, ha pianto tanto. Non sa ancora che lei non c’è più. I suoi bambini avevano ancora così bisogno del suo ciao. Sono tanti quelli che avrebbero voluto mandarle le loro foto da adulti. Le foto che lei con orgoglio ed emozione mostrava a tutti quelli che le chiedevano del suo lavoro e che lei teneva appese nel suo studio. Lei che non ha mai creduto ai miracoli,
«Esiste solo la scienza» mi diceva. Eppure io l’ho visto il miracolo, in quelle foto, in quegli occhi adulti che rischiavano di non diventare mai grandi.
Il miracolo è stato lei prof. Basso, siete tutti voi che ogni giorno lottate accanto ai nostri figli. Lei vive dentro la vita di tutti i suoi bambini. E nella speranza di sopravvivere che avranno tutti gli altri. Nessuna morte potrà mai essere più forte di questo.
*Roberta Paolini è giornalista di Nordest Economia e madre di Giovanna, una splendida bambina a cui auguriamo tutto il bene del mondo
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