I pellerossa che liberarono l'Italia: in un libro una storia vera di guerra, pace e diritti

Discriminati e confinati nelle riserve, migliaia di nativi nord americani si arruolarono come volontari nell'esercito canadese e statunitense per combattere il nazifascismo in Europa e in Italia. La loro storia inedita scritta e documentata da Matteo Incerti

Discriminati e confinati nelle riserve, migliaia di nativi nord americani si arruolarono come volontari nell'esercito canadese e statunitense per combattere il nazifascismo in Europa e in Italia. Recensito in anteprima sul «Corriere della Sera» da Gian Antonio Stella, è uscito per corsiero editore, “I pellerossa che liberarono in Italia” scritto dal giornalista e scrittore Matteo Incerti.

Centinaia di volontari pellerossa si batterono per diritti e libertà di cui neanche loro godevano al tempo. Tra loro, partirono per l’Europa per partecipare al D-Day in Normandia, anche due fratelli mezzosangue, i fratelli Jack e James Rossetti, figli di un cercatore d’oro di Palermo e una indigena della tribù dei Nak'azdli nella British Columbia. Una storia incredibile scoperta dall’autore, che è entrato in contatto con i figli di Jack Rossetti che vivono in questa piccola tribù di sole millecinquecento anime.

LA STORIA



Sbarcati in Sicilia il 10 luglio 1943, battaglia dopo battaglia, da Agira a Salerno, da Ortona ad Anzio, dal fronte della Valle dei Liri e Cassino, la Liberazione di Roma, fino allo sfondamento della Linea Gotica orientale in Romagna, centinaia di pellerossa cree, mohawk, ojibwa, ‘piedi neri’, pawnee, creek, cherokee solo per citare alcune tribù, contribuirono a liberare l’Italia dal fascismo.

Eroi dimenticati per settantacinque lunghi anni, oltre cinquanta di loro sacrificarono la vita sul suolo italiano e sono sepolti nei cimiteri di guerra britannici e americani di Agira (Catania), Ortona (Chieti), Cassino (Frosinone), Roma, Nettuno, Gradana (Pesaro), Ancona, Coriano (Rimini), Cesena, Ravenna, Villanova di Bagnocavallo (Ravenna).



Coloro che ritornarono dal fronte, diventati capo tribù, artista o attore in film e telefilm continuarono a lottare per conquistare quei diritti civili che avevano già donato agli italiani e gli europei, come il cree dello Saskatchewan Henry Beaudry che, sbarcato in Sicilia il 10 luglio 1943, venne catturato a Villa Prati di Bagnocavallo, Ravenna) nel dicembre 1944 e poi riuscì fuggire dal lager tedesco di Moosburg dandosi alla macchia nei boschi nella neve per due mesi; l’ojibwa dell’Ontario Wilmer Nadjiwon, o il pawnee dell’Oklahoma Brummet Echohawk che tratteggiò le sue azioni e quelle dei suoi commilitoni in Italia con la 45a Divisione USA in decine di bellissimi disegni a matita (quattro sono riprodotti nel libro).

Nel libro viene ricordato anche un episodio poco conosciuto della nostra storiografia. L'intervento delle truppe canadesi nei borghi di Pofi (Frosinone) da poco liberate dai nazifascisti da parte del Perth Regiment e del Westminster Regiment,  per fermare le indicibili violenze dei gourmier contro le donne, le cosiddette 'marocchinate'.



Fu così che i nativi canadesi conquistarono solo nel 1962 il pieno diritto di voto incondizionato alle elezioni federali, e qualche anno più tardi riuscirono a mettere fine all’esperienza traumatica e razzista delle ‘scuole residenziali’ confessionali dove migliaia di piccoli indigeni (inclusi i veterani della campagna d’Italia come Wilmer Nadjiwon che venne violentato da bambino o Henry Beaudry e Len Bailey che subirono pesanti violenze) venivano rinchiusi, subendo anche violenze sessuali indicibili come capitato all’allora giovanissimo ojibwa Wilmer Nadjiwon.

Negli ultimi anni sono stati prima Papa Benedetto XVI e poi Papa Francesco a chiedere scusa a nome della Chiesa Cattolica per gli abusi e violenze perpetrate nelle 'scuole residenziali'. Episodi anche questi narrati nel libro, che ripercorre anche il percorso di diversi veterani come Henry Beaudry (che nel luglio 1944 incontrò i Papa Pio XII, in una udienza per i soldati canadesi anglofoni che hanno sempre fatto convivere il loro credo ancestrale nel 'Grande Spirito' con il cristianesimo, tanto che lo stesso Beaudry nel novembre 1944 una volta liberata Ravenna staccò un piccolo crocifisso dal muro di una chiesa per poi metterselo al collo.



VETERANI IN DIFESA DELL'AMBIENTE

Quei pellerossa che avevano liberato l’Italia dal fascismo, dopo il secondo conflitto mondiale, continuarono le loro battaglie, in modo pacifico difendendo anche la propria terra sacra dagli scempi ambientali. Come accadde nel 2010 con capo Nadjiwon, ultraottantenne, che ‘schierò’ in una pacifica battaglia ambientalista ojibwa, mohawk e i fratelli americani Sioux e Cheyenne, per impedire la costruzione della più grande discarica del Canada, ‘Dump 41’ in Ontario, che minacciava una delle falde acquifere considerate tra le più pure della Terra.

Questa è la loro storia. Una storia di guerra e pace, dal 1943 ai giorni nostri, mai raccontata prima. Una storia che parte con lo sbarco degli Alleati in Sicilia il 10 luglio 1943 e narra battaglia dopo battaglia tutta la Campagna d’Italia attraverso le gesta eroiche e drammatiche di centinaia di volontari pellerossa.

Eroi dimenticati, che conquistarono medaglie su medaglie, e vennero decorati da generali del calibro di Montgomery come capitò a Huron Eldon Brant, mohawk della riserva della Baia di Quinto nell’Ontario. Brant da solo il 14 luglio 1943 assaltò una postazione tedesca a Grammichele (Catania) uccidendo e facendo prigionieri trenta nemici. Brant, trovò poi la morte il 14 ottobre 1944 nella battaglia del borgo di Bulgaria, alle porte di Gambettola (Forlì Cesena) e oggi riposa nel cimitero delle forze del Commonwealth di Cesena. A lui è dedicata la copertina del libro.

Altri come il creek Ernest ‘Aquila Rossa’ Childers, della 45a Divisione degli Stati Uniti fu il primo indigeno a conquistare la Medal of Honor del Congresso per una azione compiute a Oliveto Citro (Salerno) nel settembre del 1943. Altri vennero decorati a Westminster nel gennaio 1945 da Re Giorgio, come l’ojibwa delle ‘teste rotte’ Tommy Prince che liberò Roma con le forze speciali e diede filo da torcere ai nazifascisti in una spericolata azione nelle campagna di Latina, o dal presidente degli Stati Uniti Theodor Roosvelt in persona, come capitò al cherokee Jack Montgomery, che gli appuntò al collo una Medal of Honor conquista con coraggio nei pressi di Anzio.

Altre storie narrate sono quelle di Tommy Prince, ojibwa delle 'teste rotte' del Manitoba, decorato da Re Giorgio per la Military Medal conquistata nelle paludi pontine nei pressi di Latina (allora Littoria) che fu uno dei soldati canadesi membri della First Special Service Force statunitense-canadese, che il 4 giugno 1944, durante la Liberazione di Roma ebbero il compito di occupare e mettere in sicurezza sette ponti sul Tevere compresi tra Ponte Milvio e Ponte Umberto I.



STORIE D’AMORE E FIGLI DI GUERRA PELLEROSSA

Il libro narra anche diverse storie d’amore e di “figli di guerra” pellerossa. Come quella incredibile a lieto fine del cecchino meticcio Len Bailey, military medal a Pofi (Frosinone) che ebbe una figlia in una notte d’amore alla fine del conflitto e quella di Orville Johnston, oijbwa di Cape Croker, Ontario che combatté in Sicilia, ad Ortona dove venne leggermente ferito e poi in Romagna ed ebbe un figlio in Italia. Un figlio che lo cercò invano tutta la vita, ma il padre povero e in preda all’alcol negli anni Settanta si negò come ricordano le figlie. E forse questo libro potrà servire a ritrovarlo.

Queste sono solo alcune delle storie narrate nel libro.

RICERCHE DI DUE ANNI

Una storia vera, frutto di due anni di ricerche da parte dell’autore Matteo Incerti tra archivi militari canadesi, statunitensi e testimonianze dirette raccolte nelle varie tribù indigene del Canada e degli Stati Uniti dove i figli di quei veterani (l’ultimo Wilmer Nadjiwon è morto a 96 anni nel 2018) hanno aperto il cuore delle loro memorie e messo a disposizione lettere inviate dal fronte dal 1943 al 1945. Il libro edito da Corsiero Editore 398 pagine e con 120 foto, riporta anche tutti i luoghi di sepoltura dei 57 pellerossa arruolati nell’esercito canadese (51) e statunitense (6) di cui l’autore narra le gesta e anche le biografie di oltre un centinaio di loro che ritornarono a casa dal fronte della seconda guerra mondiale.

L’OMAGGIO DELLA TRIBU’

Diverse tribù indigene del Canada hanno deciso di omaggiare Matteo Incerti per il lavoro svolto per ricordare per la prima volta le gesta in Italia dei loro padri e nonni. Così gli Ojibwa di Cape Croker hanno invitato l’autore nella loro tribù e gli hanno dedicato un intero numero della rivista storica bismestrale della comunità.

La tribù dei cree delle pianure della Prima Nazione Mosquito Grizly Bear Head lean man’ ha fatto ancora di più. Per ringraziare Incerti, su proposta del figlio del veterano Henry Beaudry, della capo tribù Tania Aguilar Anti-Man e consultata la senatrice delle prime Nazioni e guardiana della conoscenza Jenny Spyglass, ha battezzato il giornalista e scrittore emiliano con il nome spirituale: “Pa pa mi sut ki hiw – Soaring Eagle”. In italiano: Aquila Svettante. Non appena l’emergenza Covid cesserà, Incerti si recherà in Canada per essere omaggiato da questa tribù dello Saskatchewan e ricevere il ‘battesimo’ indigeno secondo i riti tradizionali, dove la saggia senatrice delle Prime Nazioni Jenny Spyglass, gli renderà noto il significato del nome scelto per lui.

 

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