Il pentito partito dal Veneto: «La monnezza? Come l’oro»

In “Oltre Gomorra” di Paolo Coltro il collaboratore di giustizia Nunzio Perrella svela il colossale affare del trasferimento dal Nord al Sud di scorie tossiche

Guardate bene il piazzale del megacentro commerciale dove state parcheggiando. C’è la possibilità, non tanto remota, che il sottofondo sia stipato di rifiuti industriali, mescolati a cemento pagato a prezzi stracciati perché infarcito di nichel, cobalto, cadmio, cromo, selenio, mercurio, amianto, perfino cianuri, arsenico e piombo in quantità spropositate.

Residui di lavorazione, smaltiti senza nessun controllo, che le piogge si incaricano di trasferire prima o dopo alla falda.Ne hanno messo dappertutto nel Veneto: nelle massicciate delle strade, sotto i binari delle ferrovie, nelle fondamenta delle grandi lottizzazioni, sotto i piazzali dei parcheggi. Lo dice uno che c’era e ha visto. Lavorava per la Soave Asfalti di Vicenza a fare impermeabilizzazioni stradali in subappalto.

«Avevano materiali vari e anche fusti pieni di olio esausto», racconta Nunzio Perrella, «stoccati in due aree, una dietro lo stadio e l’altra a Vicenza Est, vicino a una fornace. Li adoperavano illegalmente per fare la “pastina” dei sottofondi stradali, di solito smaltivano un paio di fusti alla volta e li portavano via i dipendenti. Ma quella volta ce n’erano troppi e mi hanno detto di portarli giù a Napoli, a smaltirli. Ho riempito un tir da 300 quintali, per il pagamento in fattura figurava materiale per lavori edili. Quella volta ho preso 50 milioni».

Fu così che cominciò l’avvelenamento della Campania.

Quando nel Veneto non c’era più posto per interrare selvaggiamente le scorie industriali, il prezzo del boom, del “piccolo è bello” tanto osannato. Perrella lo racconta in un libro (Paolo Coltro con Nunzio Perrella, Oltre Gomorra. I rifiuti d’Italia, editore Cento Autori, 15 euro) che è un memoriale spaventoso, forse la prima vera mappa dello scempio fatto nel nostro Paese a disposizione del grande pubblico: con nomi dei personaggi, località, intrecci societari, cifre degli incassi, discariche compiacenti o abusive, controlli inesistenti.

Il giornalista Paolo Coltro
Il giornalista Paolo Coltro

Nunzio Perrella è un boss della camorra che non ha mai sparato un colpo. Negli anni Ottanta aveva scoperto come funzionava il business dei rifiuti, il Nord che pagando usava il Sud come pattumiera, i miliardi che passavano sotto il naso dei camorristi senza che loro se ne accorgessero. Impiega un anno per capire come funziona il meccanismo, poi ci entra dentro come imprenditore portandosi dietro l’organizzazione.

Un colletto bianco dei Casalesi.

Il 29 maggio 1992 lo arrestano a Thiene, dove abita, per traffico di droga. «Ma quale droga, dotto’», dice al pm Franco Roberti della Direzione distrettuale antimafia che lo interroga, con una frase rimasta celebre, «la monnezza è oro».

E porta le prove. Svela i sistemi per aggirare i controlli, le bolle di trasporto false con le quali i rifiuti tossico-nocivi vengono assimilati agli urbani, i documenti di consegna delle discariche compiacenti dove i tir non arrivano mai, la rete di complicità nella pubblica amministrazione centrale e periferica, i politici che tengono il sacco e incamerano gli utili. Tutto documentato.

Un mare di soldi, bastava tuffare le mani, senza bisogno di morti ammazzati. O meglio, i morti ammazzati sarebbero venuti dopo, uccisi dall’impennata di tumori al fegato, dai linfomi e dalle leucemie provocati dalla montagna di rifiuti sversati ogni notte nei corsi d’acqua o abbandonati nelle campagne.

Perrella diventa il primo pentito dell’Anonima Rifiuti Tossici che sta impestando l’Italia. Se la Direzione distrettuale antimafia di Napoli che raccolse la sua testimonianza e ne riscontrò la veridicità, fosse riuscita a inchiodare i responsabili, la Campania non sarebbe mai diventata la Terra dei Fuochi.

Invece l’inchiesta Adelphi finisce sgonfiata dalla prescrizione nel processo d’appello. Un quarto di secolo dopo, tutto procede come prima. Le rivelazioni del boss pentito sono rimaste sepolte nelle carte dei magistrati, senza che il grande business dei rifiuti sia stato toccato. Non è cambiato niente. I personaggi denunciati da Perrella nel 1992 – Cipriano Chianese, Gaetano Cerci, Francesco Bidognetti, Gaetano Vassallo, Luca Avolio per citarne alcuni – oggi gestiscono la bonifica dei siti inquinati, il risanamento del degrado da loro stessi provocato.

Cosa possiamo aspettarci? Nasce così, per un moto che potremmo perfino definire di ribellione civica, la nuova denuncia dell’ex boss pentito, nel frattempo abbandonato dallo Stato che l’ha fatto uscire dal programma di protezione senza dargli una nuova identità.

Paolo Coltro non ci dice come ha incocciato Nunzio Perrella, ma quando gli è successo non si è fatto sfuggire l’occasione. Il libro che ne è venuto fuori racconta cose vecchie che rimangono nuove, perché mai sfiorate da una magistratura che si è fermata ai pesci piccoli.

«In ore e ore di interrogatori», dice Perrella, «ho indicato tutte le aziende coinvolte nel giro. Tutte del Nord: chi produceva, chi stoccava, chi affidava i rifiuti ai trasportatori. Nessuno li ha toccati. Erano troppo grossi? Forse è stata incapacità, forse è stata precisa volontà. Con il risultato che il sistema si è perpetuato».

Alle presentazioni del libro Perrella va con il viso coperto, occhialoni scuri, sciarpa alta sopra il naso. L’Anonima Rifiuti Tossici non può gradire questo eccesso di pubblicità. Il libro è un rischio.

Lui punta a sfruttare il clamore per ottenere un riesame del suo caso. È disposto ad accompagnare i magistrati in giro per l’Italia, alla scoperta delle discariche abusive mai individuate. Ma vuole chiudere con Perrella e diventare cittadino normale.

Nel frattempo ha una ricetta formidabile da suggerire: «Oggi chi produce rifiuti industriali paga una quota perché vengano smaltiti, il che significa che si deresponsabilizza, passa la mano. E comincia la trafila dell’illegalità. Si dovrebbe dire: caro imprenditore, queste schifezze ti servono a produrre la tua ricchezza, ci devi pensare tu. Faccio un esempio macroscopico: tutte le automobili rottamate dovrebbero tornare nelle fabbriche da dove sono uscite. Si recupera tutto il possibile, si ricicla e quel che resta va distrutto sotto la responsabilità del produttore. Impossibile? Basta cominciare».

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