Il rito del nuovo anno: il tempo va vissuto, non contato

La fine e l’inizio, eros e thanatos, elementi connessi strettamente alla nostra evoluzione. I fuochi d’artificio, gli spari primitivi, i cenoni, la tavola imbandita sono i rituali simbolici di sempre
Male cat covered with streamers, close-up
Male cat covered with streamers, close-up

Cos’è il Capodanno se non il rito solenne del cambiamento, rituale radicato nella storia dell’uomo, la fine e l’inizio, il circuito uroborico (di C. G. Jung) che decreta la circolarità della vita, il percorso di rinascita e morte, in questo caso dell’anno, in realtà un calcolare il ritmo dell’esistenza.

La fine e l’inizio, eros e thanatos, elementi connessi strettamente alla nostra evoluzione. I fuochi d’artificio, gli spari primitivi, i cenoni, la tavola imbandita sono i rituali simbolici di sempre, quello che abbiamo dimenticato, riti della vita che non riusciamo a vedere perché adombrati da una sorta di infantile bisogno di sconfiggere la paura, la fame, le tappe evolutive, i limiti dell’esistenza in un unico ciclo.

Cosa resta della consapevolezza? È questo forse il mantra più efficace ed educativo per noi stessi, qualcosa da imparare e da dare alle nuove generazioni. Chiudere un anno vuol dire fare un bilancio, raccoglierne le tracce seminate dall’anno che finisce, ma in realtà siamo privi della capacità di organizzare il futuro, quello che verrà.

Siamo capaci di dare la linea al nostro futuro? In realtà non proprio: i bilanci non bastano, né quelli finanziari né quelli sociali. Siamo sicuri che non sono esaustivi di ideali da cui siamo affascinati, sono i più facili, sono la ripetizione di quelli del passato: ripetiamo all’infinito personaggi, giovani, anziani, slogan di 50 anni fa, tutto è rivisitato ma uguale a sé stesso.

Cosa è cambiato nella realtà? Perché non sono le tecnologie a far girare il cambiamento, ma i contenuti e la struttura del pensiero, quella che caparbiamente viene chiamata cultura.

Non c’è granché da festeggiare e da fare riti propiziatori per il futuro. Forse, non c’è neanche grande creatività, siamo nella guerra invisibile del nuovo Millennio. Il futuro lo scansiamo, ma nella realtà anche quello richiede energia che non c’è. È come se l’universo dell’Occidente a cui apparteniamo soffrisse d’insonnia, un sonno interrotto da incubi e rituali di una memoria che non ha risolto i propri fantasmi.

Ecco l’anno che finisce, imploso, inquieto, carico di insicurezze, con la rimozione come antidoto, ma senza soluzione. L’anno che verrà è qui, a minuti: non contiamoli, ma semplicemente viviamoli. Il nostro Paese ha come sindrome la rimozione, l’oblio, l’illusione e quell’incapacità di avere a quest’oggi un reale pensiero critico, necessario perché è un percorso mentale che ci aiuta a valutare l’errore, a poterlo comprendere e riparare. Ma questo è il nostro inganno, da sempre: la cultura dell’illusione, di vivere nell’utopia.

L’anno nuovo “è” il nuovo, ed è nelle nostre mani solo se siamo capaci di vedere e lottare affinché lo sia davvero.


 

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