Il Veneto delle frane e delle alluvioni Servono 3 miliardi

PADOVA. Costoni che si staccano, rocce che si sgretolano, argini che saltano, fiumi che esondano. Con il ritorno dell’autunno - e la tragedia della Sardegna - torna la paura anche nel Veneto, una delle regioni a più alto dissesto idrogeologico d’Italia.
Le ragioni? Morfologiche: un territorio dominato dalla montagna. Idrografiche: pianure attraversate da fiumi pensili, sopra il livello della campagna. Antropiche: quasi cinque milioni di abitanti stipati nella metà del territorio. Politiche: da trent’anni le manutenzioni sono scarse, quasi assenti, comunque insufficienti. Se l’alluvione del 1966 poco ha insegnato, quella del 2010 forse ha fatto crescere una consapevolezza. Che i tempi del «dio cemento» sono finiti e che per mettere a posto il territorio servono almeno 2,7 miliardi di euro.
«Serve un piano Marshall per mettere in sicurezza il territorio» commenta il governatore Luca Zaia, da sempre molto attento alla tutela del territorio ma impotente di fronte alla lentezza della burocrazia. Tanto da denunciare la situazione, mettendo le mani avanti già un mese fa: «Non venitemi a dire che la Regione non ha fatto niente - aggiunge –: 925 interventi, 392 milioni di investimento, 365 imprese che hanno lavorato». Non basta: «Nel 2010 abbiamo avuto trenta sfondamenti arginari, il nostro territorio è fragile perché nasce da terre di bonifica e poi è molto urbanizzato. Serve una visione strategica e un salto culturale: la politica deve mettere sul piatto un grande piano nazionale con le risorse che servono; i cittadini devono comprendere che è meglio avere una strada asfaltata in meno e una rete fognaria in più».
Nel Veneto il 25 per cento dei comuni è a rischio frana e il 40 per cento a rischio alluvione. Solo nel Veneto i movimenti franosi censiti sono poco meno di diecimila, seimila dei quali solo nel Bellunese.
I sensori sono sempre accesi in almeno quattro situazioni di allarme. Il movimento del Rotolon, sopra a Recoaro Terme, definita la «terza frana d’Italia», la frana di Perarolo, nel Bellunese, dove un costone di gesso potrebbe ostruire il Boite e travolgere l’abitato; la frana di Cancia, a Borca di Cadore, che nell’estate 2009 provocò due vittime; la frana del Tessina, in Alpago.
Altrettanto accesi sono i riflettori sulla situazione dei fiumi. Il Bacchiglione a Vicenza, che solo il bacino di Caldogno (i lavori sono stati avviati in questi giorni) potrà forse risolvere; il Livenza a Motta di Livenza; il Muson dei Sassi a Castelfranco ennel’Alta padovana; il Frassine nella Bassa.
Proprio a Vicenza sta spuntando, in barba ad ogni criterio di buon senso, uno dei maggiori paradossi della difesa del suolo: il nuovo palazzo di giustizia, un mostro di cemento che appare uno sfregio all’eleganza palladiana della città berica, si trova alla confluenza tra Bacchiglione e Retrone, due corsi d’acqua che nel novembre 2010 contribuirono a fare andare sott’acqua il 20 per cento della città del Palladio.
«Ogni anno mettiamo 50 milioni di euro per la difesa del suolo» commenta l’assessore regionale alla protezione civile, Daniele Stival «ma non bastano. Se lo Stato ne mettesse 150 in poco più di dieci anni potremmo dire di aver messo a posto il Veneto. Serve davvero un patto con Roma: il Veneto è disposto a fare la propria parte, a condizione che anche lo Stato faccia la sua. Ci potrebbe anche mettere nella condizoni di aumentare la capacità di indebitamento senza penalità sul patto di stabilità. Ma per fare questo serve la volontà». La stessa che sembra muovere Zaia quando pensa all’attivazione di strumenti di finanziamento europei per la messa in sicurezza del territorio.
«Credo che la Bei potrebbe aiutarci: in fondo il Veneto è una delle regioni più industrializzate del mondo e la messa in sicurezza del territorio attiene anche alla competitività della nostra regione, alla capacità di attrarre risorse e investimenti stranieri» aggiunge il governatore. Per adesso, la Regione fa quel che può: ora cercando di trovare le risorse per i bacini di Montebello, Vicenza, Torri di Quartesolo e Breganze che insieme dovrebbero garantire la sicurezza di Vicenza e Padova. Ma servono 184 milioni di euro e una burocrazia diversa. Proprio la Regione stessa ha codificato il tempo necessario per realizzare un’opera pubblica - grande o piccola - dalla progettazione preliminare alla conclusione dei lavori: 1765 giorni, pari a quasi cinque anni. Per fare l’Autostrada del Sole da Milano a Napoli ne impiegarono otto. Era il 1964.
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