Il Veneto e la trappola del turismo

Per il 2023 il Veneto si conferma prima regione italiana per ricezione turistica. Ma quando il fenomeno supera una certa soglia critica, rischia di inaridire il tessuto economico di riferimento

Giulio Buciuni
Turisti in piazza San Marco a Venezia (foto Interpress)
Turisti in piazza San Marco a Venezia (foto Interpress)

Secondo l'ultimo bollettino Istat sui flussi turistici in Italia, anche per il 2023 il Veneto si conferma la prima regione del Paese per ricezione turistica.

Con circa 72 milioni di turisti ospitati nel 2023, il Veneto rafforza una tendenza che conosciamo da tempo e che viene celebrata su più fronti dalle istituzioni regionali.

Solo qualche giorno fa in occasione dell'assemblea annuale di Confindustria Belluno Dolomiti, il governatore del Veneto rimarcava l'importanza che il turismo gioca nell'economia regionale contemporanea ed esprimeva il suo stupore e disappunto nei confronti di una serie di proteste anti-turisti che stanno diffondendosi da Amsterdam a Barcellona.

Il turismo, per chi si occupa di economia, è un'arma a doppio taglio. Certamente, può contribuire a generare occupazione e contribuisce all'economia dei luoghi che attivano flussi turistici, generando un indotto che spesso non si limita alla mera attività ricettiva ma che include anche la ristorazione e la filiera dell'agroalimentare.

Tuttavia, quando il turismo supera una certa soglia critica, ossia quando diventa un'attività economica prevalente o dominante all'interno di un contesto nazionale, regionale o urbano, rischia di inaridire il tessuto economico di riferimento.

Da un lato, infatti, il turismo è notoriamente considerato come un settore scarsamente innovativo dove spesso prevalgono attività economiche estrattive; dall'altro, il turismo è un ambito economico che genera minor valore aggiunto per addetto rispetto ad attività maggiormente innovative come, ad esempio, l'industria e la manifattura.

I dati Istat a nostra disposizione sull'andamento della retribuzione oraria in Italia certificano con chiarezza questo fenomeno. Prendendo a riferimento l'evoluzione dei salari dal 2007 al 2023 è possibile osservare come il settore del turismo ha registrato un incremento dei salari pari al 25%.

È un dato che potrebbe apparire incoraggiante, ma che in realtà nasconde uno scenario particolarmente preoccupante. Nello stesso arco temporale, infatti, le retribuzioni medie nel settore manifatturiero sono cresciute del 45% e, soprattutto, si è registrata un'inflazione cumulata del 37%.

In poche parole, al netto dell'inflazione i salari nel settore turistico si sono contratti di circa dieci punti percentuali, impattando sul potere d'acquisto degli addetti impiegati in questo ambito economico e sulla capacità delle imprese di attrarre personale qualificato.

Il turismo non è dunque di per sé un'attività economica in grado di generare innovazione, né tanto meno di garantire salari competitivi sul lungo periodo. In un contesto economico, come quello del Nord Est, oggi alle prese con certificati problemi di attrattività di risorse umane qualificate e con un modello di innovazione che ancora non riesce ad esprimere un ecosistema di rilievo internazionale, non può essere certamente il turismo a tracciare la via per il futuro dell'economia regionale.

Eppure, quella che sembra essere una considerazione di buon senso e supportata da dati pubblici di facile lettura si scontra oggi con una narrazione mainstream che vede proprio nel turismo uno degli elementi cardine del modello economico nordestino.

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