Imprese in fuga dall'Italia
L’espressione «votare con i piedi» non ha niente in comune con ciò che gli italiani saranno chiamati a fare nelle elezioni politiche del 13 e 14 aprile. Non significa cioè scegliere un partito senza capire ciò che si fa. Quell’espressione ha invece un significato preciso nel mondo più ristretto delle società quotate in Borsa. Quando le cose vanno male, i loro azionisti possono fare due cose: una consiste nel presentarsi in assemblea e votare contro il bilancio; un’altra consiste nell’«andarsene via dalla società», cioè nel vendere le proprie azioni sostituendole, eventualmente, con le azioni di qualche altra società. C’è però un altro senso per cui l’espressione «votare con i piedi» si applica non agli azionisti delle società quotate in Borsa ma alle imprese in quanto tali. Questo senso riguarda il comportamento delle imprese quando esse, nel decidere dove ubicare i loro investimenti (e quindi dove creare nuovi posti di lavoro e di reddito), decidono di «andarsene via», cioè di ubicare questi investimenti fuori dal Paese di origine.
Questo fenomeno avviene in due modi. Uno è quello visibile, per cui un’impresa chiude qualche reparto qui e lo riapre altrove: questo è il modo che attira l’attenzione dei più a partire da coloro i cui posti di lavoro vengono così soppressi. Un altro modo, del tutto invisibile perché non comporta una soppressione dei posti di lavoro esistenti, è quello per cui chi «vota con i piedi» sono non le imprese che, esistendo già nel nostro Paese, se ne vanno altrove ma le imprese che, esistendo altrove, decidono di non venire qui.
Gli investimenti di queste ultime imprese sono noti come «investimenti diretti esteri» (Ide) e sono da tempo oggetto di studi e di ricerche. Oggi ha senso parlarne da noi perché gli Ide verso l’Italia sono da tempo in caduta mentre quelli verso altri Paesi europei sono in ascesa. Perché è così? E’ chiaro che l’alto costo del lavoro, per chi vuole limitarsi a quest’unica variabile, può giustificare gli Ide delle imprese italiane verso l’estero. Ma che dire degli Ide esteri verso l’Italia? Perché mai molte imprese multinazionali preferiscono andare a creare posti di lavoro in Paesi in cui il costo del lavoro è pari o addirittura più alto che da noi, invece che venire a crearli qui?
Di questo strano fenomeno si parla da tempo e se ne è parlato anche a Verona in un Forum organizzato da Confindustria sui risultati di una ricerca che ha coinvolto 60 imprese multinazionali con investimenti anche in Italia. Al centro della discussione i dati. Il rapporto fra lo stock degli Ide accumulati in entrata e il Pil è stato nel 2006 del 15,9% in Italia e del 38% nella media degli altri Paesi europei, mentre le operazioni di Ide in entrata sono state pari, negli ultimi 5 anni, a 561 in Italia contro 1.360 in Francia, 727 in Spagna e 1.033 in Polonia. Da cui la domanda cruciale della ricerca: «Quali sono i problemi più rilevanti che le imprese straniere incontrano nell’operare in Italia?».
A questa domanda le 60 imprese intervistate hanno risposto indicando una dozzina di fattori. Quattro di questi meritano un’attenzione particolare. Essi sono nell’ordine: la burocrazia, il sistema legislativo, l’instabilità politica, i tempi della giustizia. Il ruolo malefico di questi fattori è noto da tempo, anche a chi non dirige alcuna impresa e anche a chi non abbia ancora conoscenza dei risultati della ricerca discussi al Forum di Verona. Se diciamo che essi meritano un’attenzione particolare, è perché la loro eliminazione richiede quelle riforme di struttura di cui si parla in Italia da tempo immemorabile e che però non si fanno mai.
Chi dovrebbe farle è il Parlamento. Ma il Parlamento non le fa - anzi le fa spesso al contrario - nonostante si tratti di riforme che non costerebbero niente. Che cosa costa, tanto per limitarci a pochi esempi, la riforma della legge elettorale? Oppure la riduzione del numero delle imposte (non, si badi, del gettito fiscale)? Oppure la riduzione e semplificazione delle leggi? Si leggano - tanto per documentarsi - e si cerchi di capire - tanto per dimostrare a se stessi un’intelligenza superiore alla media - le migliaia di commi delle leggi finanziarie di questi ultimi anni, o, per chi vuole essere à la page, i sofferti articoli e vicissitudini del recentissimo decreto «milleproroghe» (denominazione ingegnosa che deve avere divertito - e allontanato ancor più dall’Italia - le 60 imprese multinazionali della ricerca discussa nel Forum di Verona).
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