In Veneto centinaia di positivi al Covid violano la quarantena. "Ora le denunce"

VENEZIA.
I fuorilegge del Covid. «C’è ancora troppa gente che si fa beffe delle norme di sicurezza a cominciare da quanti, ogni giorno, violano la quarantena domiciliare e si rendono irreperibili ai controlli a distanza. Sono centinaia e centinaia di persone diagnosticate positive al virus e contagiose che non rispettano l’isolamento fiduciario, indifferenti alla tragedia che la comunità sta vivendo».
Parole come pietre quelle di Luciano Flor, il direttore della sanità veneta, che smette l’abituale aplomb e alza i toni: «Sono un branco di deficienti e irrsponsabili, lo scriva pure, al pari di quanti vanno in giro con la mascherina abbassata o addirittura a volto scoperto. Gli appelli al senso civico non bastano più, serve una stretta sanzionatoria, perciò procederemo a segnalarli alla magistratura».
Lo sdegno del manager è proporzionale all’entità del fenomeno; l’isolamento domestico - dettato da positività al test, rientro da luoghi ritenuti a rischio o contatti stretti con malati - coinvolge oltre 26 mila persone sul territorio regionale e la loro sorveglianza telefonica quotidiana (pur agevolata dall’adozione dell’app Zero Covid Veneto) richiede uno sforzo gravoso al Servizio di igiene pubblica, impotente però dinanzi a condotte trasgressive dagli effetti imprevedibili. La circostanza, oltretutto, coincide con una fase acuta della pandemia, testimoniata dall’incremento di contagi, ricoveri e decessi che mette a dura prova la tenuta del circuito ospedaliero.
«Il nostro personale è investito da una carico di lavoro mostruoso, tutti stringono i denti ma c’è un limite alle capacità del sistema», commenta Paolo Rosi, il coordinatore del comitato di crisi coronavirus incaricato da Luca Zaia di sovrintendere al potenziamento delle terapie intensive. Un programma in costante evoluzione: «Ad oggi disponiamo di circa 700 posti letto attivati di rianimazione, quasi 400 sono riservati a pazienti Covid, 250 a malati ordinari, una cinquantina sono liberi. Il turnover è piuttosto elevato perché a fronte di 27-28 ingressi giornalieri la mortalità dei degenti, tutti in condizioni critiche, supera il 40%. Abbiamo un margine ulteriore di incremento, fino a mille unità, e in questa fase, a fronte della pressione sugli ospedali, siamo in entrati in preallarme».
Che significa ciò? Il Piano di salute pubblica illustrato il 20 ottobre dal governatore prefigura cinque fasce di rischio. Le province venete (fa eccezione Rovigo, isola felice o quasi) oscillano tra l’arancione - fino a 400 letti intensivi occupati - al rosso, scenario di massimo allarme.
«Ad oggi è previsto l’utilizzo di posti letto ricavabili da sale operatorie dei Covid Hospital, con cure ordinarie preservate negli ospedali hub e parziale riduzione negli spoke», riassume il medico; «Tuttavia non possiamo escludere le dinamiche più estreme: in allerta rossa, si utilizzerebbero degenze anche negli hub, con conversione di un ospedale in ogni bacino Ulss e blocco generalizzato delle attività non urgenti. Ma confidiamo che ciò non accadrà».
La speranza, malcelata, è che il parziale lockdown delle festività contribuisca a ridurre l’onda infettiva, regalando una boccata d’ossigeno ai reparti; e che la vaccinazione prioritaria dei soggetti più esposti e a rischio preservi i sanitari abbattendo l’indice di mortalità tra gli ottuagenari. Una prospettiva realistica, non immediata però. —
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