Indipendenza veneta: fare un sondaggio è possibile e forse utile

di MARIO BERTOLISSI
Proporre un referendum, nelle forme istituzionali, per chiedere ai veneti se sono favorevoli all’indipendenza dall’Italia non è consentito, Costituzione alla mano.
La Costituzione
Ovviamente, ciascuno ha il diritto di avere un’opinione e di crederci. Ma la mia posizione è quella di uno studioso del diritto costituzionale. Devo dare atto, se sono intellettualmente onesto, di quel che pensano i colleghi e di ciò che ha ripetutamente affermato la Corte costituzionale a proposito del significato del principio di unità e indivisibilità della Repubblica. Questo non significa che non se ne debba discutere, però. La Corte suprema federale canadese ha ritenuto che il principio del contraddittorio - definito così: nessuno ha il monopolio della verità - è un carattere indefettibile della democrazia. Dunque, parliamone!
I proponenti
Ebbene, chi sostiene l’idea e il progetto politico della secessione - del distacco del Veneto, appunto, dall’Italia: per un Veneto indipendente - snocciola dati sul Pil, ricorda la serie infinita di riforme mancate, quantifica il residuo fiscale che ogni anno dal Veneto va altrove senza ritorni di sorta, descrive la condizione felice di un Veneto-Stato.
I mandarini
A dar loro ragione in un modo che, oserei dire, è radicale e definitivo, ci hanno pensato gli autori di un’inchiesta - che è qualcosa di molto di più - probabilmente sfuggita a molti. Forse, anche ai venetisti. Ebbene, Roberto Mania e Marco Panara hanno informato il popolo italiano che a comandare non è la politica, ma la burocrazia.
Più precisamente, l’alta burocrazia dello Stato che, a ben vedere, non è neppure burocrazia, dal momento che è composta di magistrati. Per la gran parte, di magistrati amministrativi del Consiglio di Stato, dei Tribunali amministrativi regionali e della Corte dei conti, che non fanno i magistrati pur rimanendo tali. Scrivono, i giornalisti, di «mandarini che tengono in pugno l’economia», di una politica che «si infrange davanti al muro dei tecnicismi dei giureconsulti», di un potere che «nasce dal vuoto lasciato da tutti gli altri. È un potere anziano di autconservazione. Andrebbe rottamato» (in Affari & Finanza, 12 novembre 2012, 2 e 3).
Rottamatori e rottamandi
Rottamato da chi? Visto che si tratta del potere centrale, ovviamente dal potere locale. Ma dov’è il potere locale? Oggi, non c’è.
Abbiamo il dovere di riflettere e di ragionare, ad esempio alla luce dell’opinione di chi, guardando al riordino delle Province, ci dà alcune coordinate, che sono dei veri e propri criteri per orientarci. Tre semplici parole: rappresentanza, prossimità, gratuità. Più una: «sussulto morale» (Bruno Forte, in Il Sole 24 Ore, 18 novembre 2012, 13).
Il pagamento del tributo
Il sussulto morale è qualcosa che ha a che fare con il senso di dignità. Non ha dignità - come vado scrivendo da sempre - chi chiede, ottiene e non dà. Il discorso riguarda i cittadini, ma pure i territori. Concerne le Regioni, visto che stiamo parlando del Veneto. Rispetto alla Repubblica, si può partire dal farne parte o dall’esserne estranei. In che senso? Si può pensare la Repubblica come ente di cui si fa parte e dalla quale ci si vuole staccare. Oppure di cui si intende far parte essendone idealmente fuori, se si considera un qualche requisito di appartenenza. Il requisito vero, in realtà, è uno solo: consiste nel pagamento del tributo, che è, appunto, il titolo di appartenenza. Insomma, il carattere di azionista della Repubblica si può prendere in esame sia dal punto di vista del cittadino sia dal punto di vista dei territori.
L’infedeltà fiscale
Quali le implicazioni, avendo in mente che nel 2011 abbiamo celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che rimane ancora un’incompiuta? Quali le conseguenze di una patologica infedeltà fiscale, che è dei singoli e degli enti? Dei singoli che, in varia misura, si sottraggono al dovere costituzionale di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione); degli enti che dissipano le risorse pubbliche (violando l’articolo 97 della legge fondamentale)? Non tutti i cittadini sono egualmente infedeli. Non tutti i territori e i rispettivi governi sperperano allo stesso modo e in eguale misura.
Lo spartiacque
L’immensa mole di dati di cui si dispone - mi limito a citare gli studi di Luca Ricolfi - consente di tracciare una linea di demarcazione che definisce lo spartiacque tra chi è in regola e chi no. Chi non lo è, teoricamente parlando, sta fuori della Repubblica. Oppure, se un simile punto di vista crea angoscia, è cittadino o ente di serie b. Debitore che deve saldare il conto. Certo, c’è la solidarietà. Ma la solidarietà ha due facce, non una sola: consiste nel dare a chi ha bisogno, ma anche - se non soprattutto - nel non dissipare quanto ricevuto. Tanto per essere chiari, è noto a tutti quel che Regioni del centro e del sud hanno fatto del denaro loro corrisposto per assicurare tutele essenziali alla popolazione: ad esempio, nella sanità.
Chi sta dentro e chi no
Si potrebbe partire da qui. Da una verifica di chi sta dentro la Repubblica e di chi sta fuori. Di chi sta dentro perché ha pagato di più e meglio amministrato. Di chi sta fuori per opposte ragioni. Si scoprirebbe, allora, che non sono tanto secessionisti quelli che vorrebbero il referendum sul distacco del Veneto dall’Italia, quanto coloro che hanno impedito sostanzialmente alla loro Regione di non entrare a far parte della Repubblica. Ne fanno parte, in quanto incluse in un elenco (articolo 131 della Costituzione). Ne sono estranee, perché in dissesto.
Il Veneto non sta fuori
E allora? Allora, non deve preoccupare il Veneto che vorrebbe andarsene e sta in Italia, ma chi non è mai entrato a far parte del sistema-Paese. Ci sono territori il cui distacco è nei fatti. E la burocrazia statalista, che ha bloccato ogni riforma, ha le sue enormi colpe.
Un referendum informaleSi potrebbe chiedere ai veneti - informalmente - che cosa ne pensano. Un sondaggio, tanto per capire, non dovrebbe far male. Gli esempi, in altri Paesi, non mancano. L’esito sarebbe un colpo di frusta, dato a coloro che si limitano a difendere l’unità formale del Paese. A questo e soltanto a questo mira il disegno di legge costituzionale, licenziato dal Consiglio dei ministri a metà del mese di ottobre. C’è un’unica ossessione: l’«unità giuridica ed economica», che è l’esatto contrario di quel che avrebbe voluto si realizzasse in Italia il Costituente, che aveva di mira l’eguaglianza sostanziale. Di tutti, nei fatti, e non sulla Gazzetta Ufficiale.
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