Insonnia, cavalli, bulldog: il mondo di Zaia
Il governatore della porta accanto che si batte per i diritti del popolo e nei tratti identitari della “piccola patria” veneta - le radici contadine e il dialetto diffuso, la memoria paesana, l’insofferenza alle pastoie statali - non scorge spie di arretratezza ma valori da salvaguardare. Nelle pagine di Ragioniamoci sopra, l’autobiografia dal titolo crozziano in arrivo in libreria, Luca Zaia si ritrae così.
È un cliché, il suo, che echeggia in partenza la figura del self made man cara alla vulgata anglosassone: famiglia modesta ma non insensibile ai traguardi dell’istruzione e della promozione sociale; capacità di abbinare lavoro e socialità; impieghi che spaziano dalla manualità all’industria dello svago; studi universitari non avulsi dal contesto produttivo di riferimento; fino al debutto politico in un piccolo partito, irriso dalle élite ma destinato a calamitare proteste e speranze nel crepuscolo della Prima Repubblica.
Dalla Balena bianca al Carroccio: se a raccontare la carriera democristiana di Toni Bisaglia fu la penna magistrale di Giampaolo Pansa, a rivisitare l’ascesa leghista di Zaia è il diretto interessato, minuzioso nell’alternare quotidianità a vita pubblica. L’esordio al consiglio comunale di Godega di Sant’Urbano, sua terra natale, e il balzo (trentenne appena) alla presidenza della Provincia di Treviso con campagne ad effetto - dagli asini-rasaerba alle foto shock di auto incidentate - di dubbia efficacia ma capaci di conquistare titoloni sui media. Ecco, absit iniuria verbis, l’abilità nella comunicazione, rara in una forza politica incline a diffidare dei giornalisti, fa del leghista trevigiano un piazzista provetto dell’offerta politico-istituzionale.
Una dote rivelatasi preziosa nel cursus honorum successivo. Vice di Giancarlo Galan a Palazzo Balbi, ministro dell’Agricoltura nel quarto governo Berlusconi per volontà bossiana, presidente della Regione: il ragazzo di provincia, già “buttadentro” in discoteca e obiettore di coscienza, diventa una figura di rilievo nazionale, che soffre di insonnia cronica, rispetta il galateo e coltiva passioni desuete: le corse in campagna, la compagnia dei cavalli, i giochi con Caterina, l’amatissima bulldog della moglie Raffaella Monti, donna autonoma e discreta. Che altro? La sfida per l’autonomia, ingaggiata attraverso un referendum vittorioso e senza precedenti, e l’instancabile battaglia contro il Covid premiata dal consenso del 77% dei veneti: più che una rielezione (l’ultima possibile a Venezia), un «rito di ringraziamento», nella felice definizione del politologo Paolo Feltrin. Ha 53 anni, che farà da grande? Dai seguaci miracolati alle urne al sospettoso leader Matteo Salvini, se lo chiedono in molti, con stati d’animo opposti. Il furbone però non scopre le carte. E lavora al prossimo capitolo. —
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