Jack-up come la Concordia la chiatta del Mose a Ravenna

VENEZIA. Una nave costata oltre 50 milioni di euro che non ha mai preso il largo. Adesso i commissari che governano il Consorzio Venezia Nuova dopo lo scandalo del giugno 2014 hanno deciso di revocare l’assegnazione della fornitura, decisa nell’era Mazzacurati il 26 gennaio del 2010. E di acquisire il grande jack-up per il trasporto delle paratoie del Mose, in attesa dei risultati di una perizia tecnica. Affidata all’ingegnere Enrico Rizzuto, 53 anni, genovese, docente di Costruzioni e Impianti navali e marini all’Università Federico II di Napoli. Sarà dunque un tecnico «terzo» a valutare se il lavoro sia stato fatto a regola d’arte. Conclusione che appare problematica, visti i problemi subito emersi. Da più di un anno la grande nave gialla, costruita dalla Mantovani e dalla sua azienda Fip Industriale di Selvazzano, è ancorata davanti alle storiche mura dell’Arsenale. Il giorno del varo è stata subito fermata per il cedimento di una «gamba» d’appoggio centrale. Mancano i collaudi e dopo quasi un anno di verifiche e ordini di servizio ignorati, i commissari Luigi Magistro, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, in accordo con il presidente nazionale dell’Autorità anticorruzione Raffale Cantone, hanno deciso di dire basta. E hanno avviato l’inchiesta. Che potrebbe sfociare anche in una richiesta di risarcimento danni.
Non basta. Perché i ritardi accumulati nell’avvio della nave porta-dighe potrebbero adesso riflettersi sui tempi di realizzazione del Mose. In aprile è previsto l’arrivo e la sistemazione sui fondali della bocca di porto di Malamocco delle 20 paratoie alte 28 metri e larghe 30 che dovrebbero essere sistemate sui cassoni. Per questa operazione – e anche per lo smontaggio periodico per la manutenzione e il trasporto – Consorzio Venezia Nuova e Magistrato alle Acque avevano pensato cinque anni fa di realizzare addirittura due «jack-up», sul modello di quelle utilizzate per le piattaforme petrolifere del Mare del Nord. Spesa prevista, 110 milioni di euro. La prima gara – prezzo base 37 milioni – era andata deserta. Poi il Consorzio aveva deciso di affidare direttamente il lavoro alle sue imprese. Era stata creata nel 2009 la società Comar (Costruzioni Mose Ársenale) di proprietà delle tre principali imprese del Mose (Mantovani, Condotte d’Acqua e Grandi Lavori Fincosit) al solo scopo di gestire le gare d’appalto. Una società adesso sotto la lente dei commissari. Che Cantone ha deciso di commissariare. Il decreto dovrebbe essere firmato nelle prossime ore dal prefetto di Roma Franco Gabrielli.
Così la Comar aveva affidato la costruzione della grande nave alla Cav (Costruzioni Arsenale Venezia), anch’essa di proprietà di Mantovani e delle aziende di Venezia Nuova, adesso sciolta. Cav a sua volta si era avvalsa di Mantovani e della Fip, società della famiglia Chiarotto, quest’ultima a una rete di subappaltatori. Costo stimato, i 37 milioni iniziali più una quindicina tra motori e accessori vari. Soldi che le aziende non hanno ancora del tutto incassato. E che adesso potrebbero essere bloccati. «Sono tutte balle, è tutto regolare», aveva dichiarato l’anziano patron della Mantovani, l’86enne Romeo Chiarotto, «il jack up funziona, il collaudo sarà fatto quando arriveranno le paratoie più grandi». Ma i commissari e Cantone sembrano avere un’idea diversa.
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