La cugina che ha firmato l’esposto: «Non ne so nulla, non sono stata io»

Elena Fontani racconta di aver letto sul giornale la notizia della morte: da lui mai avuto nulla
PADOVA. Nega. Nega tutto. Anche se il suo nome compare in calce al primo esposto che contesta l’attribuzione del patrimonio di Conte.


«Mio cugino Mario? Per la sua morte non ho versato nemmeno una lacrima. Io non ho fatto alcun ricorso per la sua eredità». Elena Fontani, classe 1932, è un’arzilla signora che vive da sola in via Palestro 24, in un appartamento Ater. Non ha mai lavorato e vive della pensione d’invalidità. Ogni giorno, sorretta dal bastone, si accompagna al vicino patronato di San Girolamo in via Tirana e s’intrattiene con le amiche, rimbrotta qualcosa ai ragazzi che spediscono accidentalmente il pallone dalle sue parti e si fa chiamare «zia». «Qui è la zia di tutti», spiegano le volontarie dietro al bancone del bar, posto occupato fino a qualche anno fa anche da Elena, «e tutti le vogliamo un gran bene». Impossibile strappar loro qualche parola sulla vita privata di Elena. Tutti, però, sanno bene che è una cugina del «fu» Mario Conte, la cui questione del favoloso milionario testamento sta facendo impazzire avvocati e potenziali eredi.


Il ricco imprenditore ha designato come unico destinatario del suo ingente patrimonio di 30 milioni di euro l’ex segretario Luciano Cadore, scatenando la rappresaglia dei parenti che, a forza di carte bollate, hanno trascinato la vicenda in tribunale tramite un esposto.


«Non so niente di questo documento legale», sbotta Elena che sembra esser caduta dalle nuvole, «non ho mai chiesto niente a mio cugino né lui si è mai interessato a me». L’anziana, una volta venuti a mancare i suoi cari, indica che l’unica famiglia che l’abbia mai accudita si trova proprio tra le mura della parrocchia: «Mario non è neanche venuto ai funerali di mia madre eppure era sua zia, non lo vedo né lo sento da una vita, da quando è finita la guerra, da quando eravamo ragazzini, non saprei neanche che faccia abbia. La mia famiglia è questo patronato: prima lavoravo al bar poi ma dopo due operazioni ho dovuto lasciare ai giovani e non manco mai di tornare qui ogni giorno. Se ho bisogno di loro mi vengono a trovare e mi accudiscono e mi prodigo allo stesso modo quando c’è bisogno di me: questo posto è la mia vita, tutti si ricordano di me e ogni tanto tornano a salutarmi. Per la morte di Mario non ho pianto una lacrima, se capitasse a uno di questi ragazzi rimarrei distrutta».


Come ha saputo della morte di suo cugino visto che non lo sentiva neanche per gli auguri di Natale? «Me lo ha riferito una mia amica leggendo i giornali, se non fosse stato per il mattino non ne sarei venuta a conoscenza».

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