«La potente Dc veneta ha ricostruito l’Italia. La Lega di Zaia a Roma non incide sui governi»

Il saggio di Paolo Giaretta, ex senatore dell’Ulivo e sindaco di Padova. Ricostruiti tutti gli incarichi di ministri e sottosegretari dal 1948 
Da sinistra De Michelis, Rumor e Visentini
Da sinistra De Michelis, Rumor e Visentini

VENEZIA. Ma è proprio vero che la Lega in Veneto ha preso il posto della Dc? Se i politologi si divertono a sovrapporre le mappe elettorali della “balena bianca” e del Carroccio per raccontarne l’insediamento elettorale, a leggere il saggio di Paolo Giaretta «Identità e rappresentanza politica nel Veneto della Repubblica 1948-2020» edito dal Poligrafo, esce un ritratto diverso che invita a riflettere prima di considerare Zaia l’erede di Rumor. La Dc dal 1948 ha plasmato la storia dell’Italia occupando ministeri chiave fino al 1992, quando è stata travolta da tangentopoli.

Partito interclassista con la chiesa come “polizza d’assicurazione” per dirla con Bisaglia, un legame spezzato dal boom economico che ha cambiato i valori della “sacrestia d’Italia”. Nella seconda Repubblica con l’alternanza Prodi-Berlusconi,

Paolo Giaretta
Paolo Giaretta

il Veneto dei mitici “skei” è sparito dall’orbita di Palazzo Chigi sognando la secessione, poi l’indipendenza e infine l’autonomia perché il centrodestra è monopolio esclusivo della Lombardia, sia con Berlusconi che con Salvini. Il vero capolavoro politico del Veneto si chiama Maria Elisabetta Casellati, padovana presidente del Senato, seconda carica della Repubblica, ma l’ Oscar delle istituzioni non può ripagare la marginalità.



Il libro di Giaretta regala una splendida appendice, chiave interpretativa del cambio di stagione: l’elenco dei ministri e sottosegretari veneti dal 1948 ad oggi. Tirate le somme nei 47 governi di centrosinistra fino al 1994 si sono avvicendati 275 esponenti, 248 dei quali Dc. Tra i “laici” il primato spetta a Bruno Visentini e a Gianni De Michelis. Con la II Repubblica nasce l’alternanza e nei 17 governi dal 1994 ad oggi il Veneto è stato rappresentato da 80 tra ministri e sottosegretari, con l’Ulivo di Prodi più “generoso” di Berlusconi, visto che ha scelto 42 esponenti contro i 34 del centrodestra e i 4 del M5S.


Senatore Giaretta, dal suo libro esce un ritratto di 70 anni di politica con il Veneto consegnato a Luca Zaia, dopo il trionfo con il 76%: è lui il vero erede della Dc?


«Zaia post democristiano? No, mi pare un’affermazione avventurosa. La società è cambiata profondamente, non ci sono più i grandi partiti popolari con le loro ideologie e reti di sicurezza sociale. La statistica del voto ci dice che Zaia prende più voti della Dc ma qui in Veneto avevamo un popolo organizzato in centinaia di sezioni, 30 solo a Padova città. Diciamo che Zaia dimostra una cura del territorio e dei rapporti con il proprio bacino elettorale simile ai grandi leader Dc che dal Veneto hanno poi svolto un ruolo fondamentale a Roma».


Cos’è cambiato profondamente in questi anni?


«Sono sparite le preferenze, che davano una grande forza alle leadership locali. La gerarchia era legata alla capacità rappresentativa, con un preciso bilanciamento territoriale. Non solo i ministri ma i sottosegretari contavano in base al loro mandato a Roma, oggi invece sono ridotti al ruolo di impiegati, spesso senza deleghe operative. Il Parlamento oggi viene nominato dai segretari di partito, che decidono in base al peso delle correnti».



Nel 1970 nascono le Regioni, primo passo federalista?


«Le Regioni debuttano con Rumor e c’è un forte cambiamento della classe politica, nasce una nuova rappresentanza e si pesca dal sindacato e dalle associazioni di categoria. Il Pci vede nel regionalismo una strada per uscire dalla marginalità, cambia anche il Psi. A guidare la giunta veneta sarà il veronese Angelo Tomelleri e poi Carlo Bernini che da presidente della Provincia di Treviso entra in Regione e infine diventa ministro. Francesco Guidolin, da segretario della Cisl di Vicenza, diventa presidente del consiglio regionale e c’è una forte interconnessione tra partito e categorie sociali».


Nel suo libro, lei cita Bisaglia che fin dal 1982 aveva capito che la stagione d’oro della Dc stava per finire. Perché i consensi sono finiti al “forzaleghismo” e non all’Ulivo?


«In un’intervista a Ilvo Diamanti, Bisaglia fu il primo a dire che quelli della Liga di Rocchetta erano voti Dc. C’è un’area intermedia che non ha né Milano, né Torino, né Napoli ed è stata sacrificata perché in Italia regna una visione centralistica. Il Veneto sarebbe pronto a partecipare a uno stato federale. Quelli della Liga sono voti democristiani, voti persi del commerciante che si è ribellato al registratore di cassa, del giovane che si è visto soffiare il posto da impiegato alle Poste da un candidato del Sud. Questa era l’analisi di Bisaglia. Quando la Dc si è sciolta, Rosy Bindi con il Ppi ha favorito una forte discontinuità con il passato e fasce di elettori e di leader locali hanno scelto Forza Italia, con molte delusioni. Chi dalla Dc invece ha scelto l’Ulivo ha avuto un’influenza maggiore: Prodi, Letta e Renzi sono figli della tradizione Dc e hanno guidato l’Italia. Solo Casini presidente della Camera è stato premiato da Berlusconi».


Se questo è il quadro, il Veneto che vota Lega al 60% è destinato alla marginalità eterna?


«Il Veneto gigante economico e nano politico racconta l’incapacità di fare sistema. La Lega è schiacciata dalla guerra sotterranea tra Zaia e Salvini, la Liga veneta è commissariata da Milano: all’entità enorme del consenso non corrisponde una capacità di gestione della rappresentanza a livello nazionale. È la società veneta che fatica a imporsi nel suo complesso: Confindustria non ha mai eletto un presidente nazionale veneto e così Confartigianato guidata a lungo dal potentissimo e bravo segretario generale Giacomin. Questa debolezza della società veneta si è vista anche nei governi dell’Ulivo, solo Treu ha svolto un ruolo strategico. I grandi leader come Rumor e Bisaglia avevano la forza della rappresentanza del territorio. Oggi solo Zaia ha saputo stravincere tre elezioni. Il suo segreto? Non far niente per non scontentare nessuno. Il Veneto va avanti da solo, non è l’Emilia Romagna. Siamo individualisti». —



 

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