L’amore estremo e fragile e i performer del sentimento

Un narcisismo in qualche modo infantile trasforma i nuovi matrimoni in celebrazioni che ricordano la necessità del “post”.

Teoricamente e letterariamente l’amore non avrebbe bisogno di espedienti clamorosi, imprese straordinarie. Dovrebbe essere fatto di emozione, esclusività, fiducia, idealità unite a una certa chimica, ma anche disponibilità all’intimità, al desiderio.

Trasformato in progetto, l’amore  va verso il matrimonio,  rito che sancisce nei confronti della società e della collettività il passaggio verso la costruzione del nucleo familiare e,  nella sua esteriorità, sancisce di fronte agli altri cosa sei e cosa vuoi essere.

Riti ancestrali e di matrice antropologica: ancora oggi il matrimonio si veste e si traveste nel bisogno di rendere la funzione religiosa o civile cariche di aspettative neoromantiche o in ogni caso di regole che vogliono immortalare l’evento in quelle che sono le proprie utopie, quelle della coppia.

È chiaro che tutti i tipi di celebrazione del matrimonio, in questa fase storica e sociale, sono vere e proprie forme teatrali. Si assiste sempre più a riti di fidanzamento e matrimonio costruiti come vere e proprie performance, rinunciando sostanzialmente alla spiritualità, ma anche al codice d’impegno, responsabilità e serietà per quella che viene definita per eccellenza “la promessa data”.

Per un matrimonio (o per ottenere il “sì” alla promessa) si può perdere la vita negli abissi (come è accaduto pochi giorni fa a un giovane che voleva chiedere la mano alla compagna dalle profondità oceaniche) o rischiarla nelle vette (come la coppia che ha scelto le Dolomiti per farsi immortalare nel “Cor” in abito da cerimonia). Momenti estremi, sicuramente legati al bisogno di creare una spettacolarità che come ogni performance porti la gente a partecipare, vedere e parlarne.

E allora è superato il fidanzamento sui ponti e di fronte al mare: oggi fidanzamenti e matrimoni si fanno nei posti più impensati e nelle situazioni più cariche di imprevedibilità, una sorta di antitesi di quello che dovrebbe essere il matrimonio che celebra un’unione per sempre e totalizzante.

È la fragilità dell’amore: un narcisismo in qualche modo infantile trasforma i nuovi matrimoni in celebrazioni che ricordano da un lato le regole medievali dell’appartenenza e del censo (la scelta del luogo, del vestito, del cibo, del rito che deve durare il più possibile) e dall’altro la necessità del “post”.

Rischiare la vita è un po’ come renderla immortale, è un tentativo malinconico di dare un rafforzativo a quel desiderio profondo di consapevolezza della debolezza delle nuove relazioni. C’è il bisogno di dare un messaggio di temerarietà e di forza, quella forza dell’amore che si è indebolita ma che, ci piaccia o no, ha ancora   un grande significato nella vita delle persone.

 

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