Le mafie in Veneto puntano ora su turismo e strutture ricettive

Il Veneto, le mafie hanno già iniziato a spartirselo: la ’ndrangheta a ovest, la camorra a est. Una divisione che è però liquida, non netta. Una linea di confine invisibile, che si può attraversare senza rischiare guerre tra clan. Perché qui, le cose funzionano così: c’è un reticolo di alleanze variabili. La torta è grande, l'importante è non litigare per stabilire chi abbia diritto a mangiare più fette.
L'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università di Milano, nel suo ultimo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali parla proprio di una cooperazione fatta non di alleanze strutturali ma di «accordi operativi e utilitaristici che cambiano con una certa continuità».
IL RAPPORTO. «Le mafie in Veneto, anche se non sparano, dimostrano di essere in grado di intaccare il tessuto socio-economico del territorio», chiosa Giuseppe Fidalto presidente di Unioncamere, nel report pubblicato insieme a Libera, l'associazione presieduta da don Luigi Ciotti. Il quale, da parte sua, inquadra la situazione attuale con la consueta lucidità: qui le organizzazioni criminali «prosperano grazie a complicità e connivenze. Ma a loro vantaggio operano anche il silenzio, l'indifferenza, la rassegnazione e la rimozione. Quest'ultima, portata sino agli estremi del negazionismo, ha facilitato la loro diffusione in Italia e in particolare nelle ricche regioni del Nord, a cui le organizzazioni criminali puntano da sempre».
MODELLO EMILIA. Negazionismo, un film già visto altrove. In Emilia, ad esempio. Prima del terremoto scatenato dall'inchiesta che, nel gennaio dell'anno scorso, ha disvelato la ragnatela della cosca Grande Aracri (originaria di Cutro, provincia di Crotone), tutti o quasi - a quelle latitudini - giocavano a fare i pompieri.
Il mantra era un po’ quello ripetuto oggi in Veneto: «Abbiamo gli anticorpi», «il tessuto socio-economico è sano», «qui le mafie non possono attecchire», etc. Com’ è andata a finire, lo sappiamo bene: nell’aula bunker di Reggio Emilia è in corso un maxiprocesso che sta certificando come dall'infiltrazione si sia ormai passati al radicamento. Un vortice di denaro cash, di società intestate a prestanomi, di interessi vorticosi, di amicizie con colletti bianchi in settori strategici (come la gestione del Catasto), di affari con imprenditori locali, di rapporti scabrosi con la politica.

RICICLAGGIO. Il ricco Veneto è perfetto, per le operazioni di riciclaggio. I guadagni illeciti vengono messi a frutto reinvestendo di continuo, in settori molto più diversificati di quanto ci si possa immaginare. E' ancora don Ciotti a inquadrare il fenomeno: "Anche nel Nordest le cosche hanno saputo mettere a frutto una collaudata vocazione imprenditoriale, inquinando tutta una serie di settori: da quello edilizio a quello immobiliare, da quello del ciclo dei rifiuti a quello sempre più redditizio - il fatturato è stimato in 16 miliardi di euro l'anno - dell'intera filiera agroalimentare. Fa parte di questa strategia, un corollario solo apparente fatto di una ricca serie di aziende decotte, mantenute artificiosamente in vita per mascherare reati fiscali e contributivi: un'altra specialità”.
LA STRATEGIA. Niente lupara, qualche auto data alle fiamme qua e là, una serie di altri reati-spia. Il binomio usura-estorsioni, di fatto un “circolo chiuso”, a volte finisce sulle cronache per episodi apparentemente isolati, generando per lo più reazioni di basso profilo: un po’ per ignavia, un po’ per una certa incapacità di vedere il disegno complessivo. Del resto, come dice il report di Unioncamere e Libera, in Veneto «ci si stupisce, si alza la voce dello scandalo, pronti alla meraviglia di fronte ai prossimi dati, ai futuri segnali. Una fotografia che si ripresenta ogni anno come fosse ogni volta l’anno zero».
La ’ndrangheta è ormai da tempo presente al centronord: secondo la relazione 2016 della Direzione distrettuale antimafia, alla presenza “storica” in Lombardia e Piemonte si è aggiunta la «attestata presenza di cellule soldamente impiantate» in Liguria e, appunto, Veneto.
ALLEANZE VARIABILI. «Qui le mafie - dice lo studio - quasi mai operano in proprio, preferiscono intrufolarsi, sfruttare ambiti imprenditoriali ricorrendo al sistema di solide e vantaggiose alleanze, con una presenza discreta, non appariscente, non riconducibile ad azioni dirette, consentendo di rafforzare la presenza nel capitale finanziario». Basso profilo, quasi sempre.
L’invisibilità come strategia efficace per intaccare l'economia legale.I settori d'intervento mutano di continuo. Ci sono quelli tradizionali, certo: l'edilizia e tutto il movimento terra, gli appalti pubblici (ma anche quelli privati, molto più difficili da verificare), lo smaltimento dei rifiuti. Prestanome nelle sale gioco, per il lucrosissimo controllo del gioco d'azzardo.
Prestanome nei compro-oro, altra “nicchia” altamente produttiva. Ma non ci sono solo nicchie: basti pensare a tutto il mondo della sanità, all'agroalimentare, alla cantieristica navale. A dirlo sono inchieste già chiuse o in corso, ma anche nuove risultanze investigative ancora coperte dal segreto istruttorio.
CHI & DOVE. Mafie liquide, dicevamo. In una terra dove, lo dicono i fatti, corrompere non è mai stato un grande problema. Tra Verona, Venezia e Vicenza la ’ndrangheta “cura” due suoi settori tradizionali: l'edilizia e il narcotraffico. Sempre a Venezia e Vicenza, in questo caso con l'aggiunta di Rovigo, la mafia siciliana si spartisce tranquillamente con le cosche calabresi il business del mattone, occupandosi anche di un altro settore promettente: quello delle energie rinnovabili. La camorra, da parte sua, agisce soprattutto su Padova e il Bellunese. Con un’appendice di grande rilievo: si sta comprando il lago di Garda.
GARDA HOLDING. Lo dicono alcune operazioni, ma soprattutto gli esperti di settore. Alberghi, camping, altre strutture ricettive: i tentacoli si allungano silenziosi. E gli anticorpi si sfumano in chiacchiere da bar: «Hai visto chi ha comprato quell’albergo?», «Quello è il nullatenente che gira col Porsche» e via dicendo.
Non solo Garda: le strutture ricettive sono il nuovo fronte anche nelle due città turistiche per eccellenza: Verona e Venezia. L'est e l'ovest, due nuove Bengodi delle mafie come ha capito anche la Commissione parlamentare antimafia che, nel marzo del 2015, tenne due sue audizioni proprio in queste città, un paio di mesi dopo l'operazione Aemilia.
GRANDE ARACRI. I collegamenti ci sono tutti, anche se non sono ancora certificati da indagini chiuse. La cosca Grande Aracri, radicata ormai da tempo a Reggio Emilia (quartiere generale a Brescello, il Comune di don Camillo e Peppone da poco sciolto per mafia), considera il Nordest come terra di conquista.
La relazione annuale della DIA cita esplicitamente il caso della società Faecase S.r.l. di Caorle (Venezia) che, «operante nel settore edilizio ed immobiliare, era stata scelta per svolgere il ruolo di società capofila nell'ambito di un progetto immobiliare/industriale gestito dal predetto sodalizio di ’ndrangheta (la cosca Grande Aracri, ndr), con conseguente arresto dell'Amministratore unico dell'azienda».
Alcuni pentiti hanno disegnato uno scenario che è già in essere: l'espansione della cosca del boss Nicolino detto “manuzza” soprattutto tra il Veneto e il Trentino meridionale. Ma anche le cosche del Lametino, segnala il report, sono presenti e attive.
LE COSCHE. Ancora la DIA: «La presenza delle famiglie di ndrangheta del catanzarese è dimostrata anche dall'arresto (annullato in sede di riesame), nel maggio 2015 - nell'ambito dell'inchiesta Andromeda coordinata dalla DDA di Catanzaro - dell'imprenditore Saverio De Martino, originario di Lamezia Terme (Cosenza) ma residente al Lido di Venezia fin dagli anni ’90, ritenuto strettamente legato a Vincenzino Iannazzo, capo dell'omonima cosca lametina. Tale imprenditore, figura molto nota al Lido di Venezia, è riuscito ad inserirsi rapidamente nel contesto economico, sociale e politico del territorio veneto attraverso l’esecuzione di lavori nel settore edile e dell'intermediazione immobiliare e mediante la gestione di attività commerciali di considerevole spessore economico».
E poi c'è la ’ndrangheta reggina: «Sono stati acclarati rapporti molto stretti tra la ditta "Rossato Fortunato S.R.L. di Pianiga (Venezia) e le sue controllate/partecipate (tra le quali si cita la RAMM S.r.l.), tutte operanti nel "ciclo dei rifiuti", e la cosca degli Alampi di Reggio Calabria. Nell'ottobre 2014, la Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha tratto in arresto 13 imprenditori accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando e frode fiscale attraverso l'utilizzo e l'emissione di fatture fittizie, tutti delitti aggravati dalla modalità mafiosa, attesa l'acclarata organicità di tali imprenditori nella cosca Pesce di Rosarno».
Il giudizio complessivo della DIA sul Veneto sta tutto qui: «Non ci si trova di fronte ad un insediamento massiccio e strutturato di gruppi criminali di stampo mafioso, non si assiste alla commissione dei reati violenti che usualmente li caratterizzano, né si può parlare di una estesa condizione di assoggettamento della popolazione, come quella che si registra, invece, in altri contesti. Le propaggini venete dei citati sodalizi di ’ndrangheta, sembrano assumere piuttosto la forma di terminali di investimento e gestione del denaro».
Schei, insomma. Alla fine, siamo sempre lì.
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