Lega: derby tra liste Zaia e Salvini

VENEZIA. In vista del 31 maggio, rumors e sensazioni diffuse nel movimento leghista convergono nella previsione di un risultato soddisfacente per la lista Zaia e quella del Carroccio. Tutti felici, allora? Beh, in politica raramente due più due fa quattro, così tra i candidati che corrono con il simbolo della Lega cresce un timore inconfessabile quanto reale: quello di un’affermazione oltre le previsioni della lista del governatore, tale da tagliare l’erba sotto i piedi alla compagine sorella. Non è tanto una questione di prestigio o di equilibrio politico; Zaia, a differenza di Flavio Tosi che imbottì (con successo) la sua civica veronese di ex forzisti, garantisce piena affidabilità di linea politica; ad agitare i sonni di svariati runner leghisti è il rischio dell’esclusione dal Consiglio regionale a beneficio degli outsider presidenziali trainati dal boom zaiano.
«In effetti, c’è una sana competizione interna tra i nostri candidati ed è legittimo che ciascuno aspiri ad essere letto», commenta Lorenzo Fontana, il responsabile della campagna elettorale della Lega nel Veneto «non c’è dubbio che quella di Luca sia una figura autorevole e capace di calamitare consensi ben oltre gli steccati di partito. Oltretutto, gli slogan che abbiamo proposto - Scelgo Zaia, Dopo Zaia solo Zaia - concorrono a rafforzare il sostegno al leader della coalizione. Però dobbiamo considerare due fattori: anzitutto, il nostro candidato presidente esprime un valore aggiunto rispetto all’alleanza, tanto che a votarlo sono anche frange dell’elettorato di centro e di sinistra; in secondo luogo, nella sua lista prevalgono gli esponenti leghisti, a garanzia di un lealismo che non è mai stato messo in discussione. Detto ciò, confido in un buon risultato del nostro del partito anche perché, a differenza di altri, noi non nascondiamo il nostro simbolo ma lo esibiamo con orgoglio». Vabbé.
In effetti c’è un’ulteriore lettura della dinamica interna al leghismo e chiama in causa il rapporto tra il governatore uscente e Matteo Salvini, che in questa campagna ha privilegiato vistosamente la presenza nel Veneto. In apparenza, il trevigiano e il milanese vanno d’amore d’accordo. Anzi, a suo tempo, chiamato a sciogliere l’aut aut tra Zaia e Tosi (due cavalli di razza padana rivelatisi incompatibili) non ha avuto dubbi nel blindare il primo e cacciare il veronese. Nell’aria però resta un fastidioso dubbio - alimentato quotidianamente dai tosiani et pour cause - e chiama in causa la ricorrente volontà lombarda di egemonia sul lighismo.Smentita dai diretti interessati - «Quando fu chiamato a scegliere tra le candidature, date vincenti, in Lombardia e in Veneto, Umberto Bossi scelse di puntare sul sottoscritto», ricorda spesso Zaia - mentre Salvini si schermisce ribadendo che «liste, candidati e alleanze della Liga sono state decise dai veneti in Veneto».
Tuttavia, chi conosce il governatore-candidato assicura che l’obiettivo di una forte affermazione della lista presidenziale è prioritario per due ordini di motivi: cementare la maggioranza con consiglieri fedeli, così da scongiurare il ripetersi dell’esodo che ha dimezzato il gruppo consiliare nella legislatura appena conclusa; e consolidare, attraverso il consenso popolare, la propria statura politica, magari con un occhio (discreto) al reset postberlusconiano che attende l’arcipelago rissoso del centrodestra a partire dal primo maggio.
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