Lo studio trevigiano, I farmaci per l'ipertensione non peggiorano il quadro clinico del Covid 19

Questo è il dato che emerge da uno studio condotto all’Ospedale Ca’ Foncello e coordinato dal Prof. Marcello Rattazzi e dalla dott.ssa Carla Felice, afferenti all’Unità Operativa di Medicina Interna 1, diretta dal prof. Carlo Agostini
Italy. Bergamo, hospital John XXIII, Covid-19 patients in the Intensive Care unit.
Italy. Bergamo, hospital John XXIII, Covid-19 patients in the Intensive Care unit.

TREVISO. L'assunzione di farmaci per combattere l'ipertensione non introduce complicazioni nel trattamento di infezioni da Sars-Cov-2.

Il risultato, riportato dalla rivista «American Journal of Hypertension», è conseguenza di uno studio condotto all'ospedale Cà Foncello di Treviso su 133 pazienti ipertesi, accolti in Pronto soccorso durante il mese di marzo per sintomi respiratori e febbre, e successivamente riconosciuti positivi al Coronavirus.

All'inizio della pandemia, spiegano i ricercatori, era emersa la preoccupazione che l'uso cronico di alcuni fra i farmaci più utilizzati dai pazienti ipertesi potesse favorire il rischio di infezione e l'insorgenza di un quadro clinico più grave. Dall'indagine si ricava invece che, al contrario, l'assunzione di tali sostanze sembra ridurre la probabilità di essere ricoverati in ambiente intensivo o semi-intensivo.

Ecco il risultato:

I pazienti ipertesi che assumono ACE-inibitori o sartani non hanno un maggior rischio di complicanze legate alla infezione da SARS-CoV-2. Questo è il dato che emerge da uno studio condotto all’Ospedale Ca’ Foncello e coordinato dal Prof. Marcello Rattazzi e dalla dott.ssa Carla Felice, afferenti all’Unità Operativa di Medicina Interna 1, diretta dal prof. Carlo Agostini. 
 
“Nello studio, cui hanno contribuito diverse Unità operative dell’Ospedale – spiega il prof. Agostini -  sono stati inclusi 133 pazienti ipertesi, accolti in Pronto Soccorso durante il mese di marzo per sintomi respiratori e/o febbre e con conseguente diagnosi di infezione da SARS-CoV-2.
 
L’obiettivo principale della ricerca è stato valutare se l’utilizzo di specifiche terapie anti-ipertensive, come gli ACE-inibitori e i sartani, potessero influenzare l’andamento clinico di  questa infezione modificando parametri come il tasso di ricoveri in ambiente intensivo/semi-intensivo, la necessità di ossigeno-terapia o di ventilazione non invasiva e, in ultimo, il rischio di morte.
 
All’inizio della pandemia era infatti emersa la preoccupazione – ricorda Agostini - che l’uso cronico di ACE-inibitori e sartani, due categorie di farmaci tra le più utilizzate dai pazienti ipertesi, potesse favorire il rischio di infezione e l’insorgenza di un quadro clinico più grave.  Tale ipotesi si basava principalmente sul possibile effetto di questi antiipertensivi sul recettore ACE2, lo stesso che viene utilizzato dal virus per entrare nelle cellule”. 
 

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