L’occhialeria sta cambiando pelle: i brand globali ora fanno da sé

Il distretto manifatturiero veneto rimodellato dalle strategie dei grandi player internazionali. Era cresciuto attorno ad alcuni grandi produttori locali, ma oggi quel modello appare superato 

Safilo è collassata ieri in Borsa. Alla fine il rosso è stato del 5%, ma già dalla settimana scorsa, guardando il listino, si notava che quell’annuncio, atteso da oltre un anno, era nell’aria.

Oltre le cifre, che pure sono importanti, i posti di lavoro che rischiano, quello che sta dietro questo terremoto annunciato è la fine di un modello industriale storico. Quello dell’occhialeria così come la avevamo conosciuta finora. In un distretto industriale unico al mondo, quello che sta ai piedi delle Dolomiti e vede sorgere la sua capitale tra Agordo e Longarone.

Safilo perde la licenza Dior, ora serve un nuovo piano


Un nuovo modello

Un archetipo di sviluppo per il mondo dell’occhialeria (unica) made in Italy che vede due pionieri. Avvenne oltre vent’anni fa quando Giorgio Armani e Leonardo Del Vecchio tirarono fuori dal cilindro l’idea che gli occhiali potevano essere oggetti moda.

E così il genio delle montature iniziò a creare gli occhiali per il re dello stile italiano. Gli altri si misero in scia. Fino a che la guerra delle licenze fu totale. Tanto che i bravi artigiani di Safilo riuscirono a strappare re Giorgio proprio a Luxottica. Fu un divorzio rumorosissimo.

Dopo dieci anni Armani, socio di Luxottica (lo è tutt’ora nella nuova configurazione EssiLux), tornò ad Agordo. Ma già da quel colpo si era capito che il potere dei brand globali sull’occhialeria era diventato troppo grande. Da lì in poi è stata una slavina, che non ha travolto Luxottica perché il suo modello di business era già profondamente diverso da quello di Safilo. Luxottica ha catene di negozi proprie, brand propri ed è oggi integrata verticalmente.

È un modello chiuso. Perfetto. Così come è un modello chiuso quello che Kering, grazie a Roberto Vedovotto, ha potuto immaginare. Portando via subito le licenze Gucci e Bottega Veneta e preparando una piattaforma in grado di farsi in casa gli occhiali, e i relativi succosi ritorni economici. Vedovotto, uscito da Safilo senza firmare un patto di concorrenza, è stato subito libero di costruire quel modello invincibile del brand che produce sé stesso (in realtà gli occhiali li stanno, in parte, ancora facendo in Safilo ma con un accordo di fornitura e non di licenza).

Kering e Lvmh

Uno schema ricchissimo che immediatamente Lvmh ha fatto proprio, con i suoi marchi globali incredibili (oltre Dior e Celine, ha per esempio Fendi, Mark Jacobs e Givenchy che vanno in scadenza nel portafoglio Safilo tra il 2021 e il 2024 mentre la potenza Louis Vuitton ha una storia a sé negli occhiali) creando la sua manifattura Thelios, in jv con Marcolin.

Un progetto, che, Vittorio Tabacchi ha affermato, essere arrivato prima che sulla scrivania del fondo Pai, azionista di Marcolin, su quella di Hal, azionista di Safilo. E che invece gli olandesi hanno rimandato al mittente. Salvo poi trovarsi in mezzo ad un guado dal quale non sarà semplicissimo recuperare la riva.

La manifattura Thelios sta macinando risultati incredibili. Tanto che il direttore della strategia di Lvmh Jean-Baptiste Voisin a febbraio ha annunciato che la Thelios di Longarone avrà una seconda manifattura.

Dagli 1,5 milioni di pezzi prodotti raggiungerà i 4,5 milioni di pezzi impiegando 600 persone dalle 150 impiegate attualmente (372 dipendenti se si considerano le altri sedi di Thelios nel mondo). Kering Eyewear sotto la guida di Vedovotto ha chiuso il primo trimestre 2019 con vendite totali a 163 milioni di euro. I risultati evidenziano l’eccezionale performance di Gucci, inoltre la presentazione dell’azienda sottolinea l’andamento ben consolidato di Cartier e il lancio di Balenciaga e Mont Blanc. Nel 2018 Kering Eyewear ha mostrato  vendite in crescita del 43,3%  e pari a  495 milioni di euro. Ci scusiamo per l’errore con  i lettori e con i diretti interessati. Occorre sottolineare che nel 2015 fatturava 10 milioni di euro. Detto diversamente: sono start up industriali con dinamiche di crescite inarrestabili.

Chi sale chi scende

Equita ha stimato che gli effetti sulla perdita di Dior da parte di Safilo si vedrà già a partire dal 2021 (50 milioni di ebitda), rispetto ai 70 milioni circa attesi al 2020. «Il grado di visibilità su queste stime però è limitato in quanto deriva da una serie di iniziative sui costi necessarie per sostenere un recupero della redditività dopo l’uscita di Dior, che potranno impattare anche i risultati 2020» sostiene la casa di investimento.

Kepler ha determinato che la perdita di Dior avrà un impatto negativo di 47 milioni di euro sugli utili 2021 parzialmente compensato dal taglio dei costi e dalla crescita organica degli altri marchi (circa 15 milioni) . Andando avanti, Kepler ipotizzando la scadenza delle altre licenze del portafoglio di Lvmh stima per Safilo «un altro impatto negativo di 30-35 milioni di euro (circa 4 milioni di euro da Givenchy nel 2022, 14 milioni di euro da Fendi nel 2023 e 15 milioni di euro da Mark Jacobs nel 2024)». È la legge crudele del mercato: se c’è chi guadagna, qualcun altro perde. Sperando che poi abbia la forza di risalire. —

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