Maltempo, per la sicurezza il Veneto spende poco. Bottacin: «Non è vero, in due anni un miliardo di euro»

Il braccio di ferro tra Regione e ministero dell’Ambiente sulle risorse assegnate dopo l’alluvione del 2010 
Il bacino di laminazione di Caldogno che ha salvato Vicenza-città dall’alluvione: si tratta di un invaso di 105 ettari
Il bacino di laminazione di Caldogno che ha salvato Vicenza-città dall’alluvione: si tratta di un invaso di 105 ettari

VENEZIA. I due metri di neve sulle Dolomiti e sull’altopiano di Asiago sciolti in poche ore dalla pioggia hanno scaricato in pianura un “oceano” d’acqua e fango superiore a quello dell’alluvione del 1966. Se Venezia si è salvata con le paratoie del Mose e Vicenza ha evitato l’alluvione bis grazie all’invaso di Caldogno, perché il Veneto finisce in ginocchio dopo ogni tempesta di Giove Pluvio e batte cassa a Roma? La risposta è una sola: si spende troppo poco per bloccare il dissesto del territorio. Male antico, simile a quello della ricostruzione post-terremoto, con il disastro dell’Irpinia a documentare 40 anni di inefficienza. I soldi stanziati restano fermi nei bilanci e si trascinano di governo in governo: centrodestra e centrosinistra pari sono.

A lanciare l’allarme è il ministero dell’Ambiente con il sottosegretario Morassut che vuole velocizzare la procedura dopo aver constatato che dal 2010 le Regioni hanno speso solo 1.531 dei 5.890 milioni messi a disposizione, pari al 26 per cento. Troppo poco. I

L'assessore Gianpaolo Bottacin, delegato alla Protezione civile
L'assessore Gianpaolo Bottacin, delegato alla Protezione civile

l dossier sul tavolo del ministro Costa è un atto d’accusa anche per il Veneto, che non brilla in efficienza: in testa c’è la Lombardia che ha erogato il 42% delle risorse e nel gruppo di coda troviamo la Campania, il Friuli e il Veneto con il 17,2% pari a 34 milioni erogati sui 93 stanziati e i 201 previsti.

Nella seconda classifica legata all’effettiva capacità di spendere le risorse realmente disponibili, vince il presidente della Liguria Giovanni Tori con l’88,7% che ha dovuto affrontare la drammatica emergenza di Genova. Segue la Sicilia con l'84,8%. Va male anche qui il Veneto di Luca Zaia (37,1%), in fondo al report insieme alle Marche.

Il dossier è una spina nel fianco di Zaia e di Bottacin, che ieri ha messo ordine alle cifre elaborate dall’Ispra. «Le cifre riportate dal Sole 24 Ore sono una foto parziale e non veritiera. Negli ultimi 2 anni la regione ha speso 1.075 milioni di euro per 1.035 cantieri nel 2019 e 480 cantieri nel 2020 in materia di difesa del suolo.

L’articolo fa riferimento a un vecchio accordo di programma con il governo da 200 milioni di cui una buona metà per il canale Lusore che attraversa la zona industriale di Marghera: soldi vincolati alla bonifica dei siti di stretta competenza statale. Inoltre ci sono i fondi del bacino di laminazione di Pra’ dei Gai non ancora spesi perché l’episodio della busta aperta, con la conseguente denuncia alla procura della Repubblica, ha allungato i tempi. Abbiamo dovuto rifare la gara, scorporandola perché nel frattempo era cambiato il codice appalti», spiega l’assessore all’Ambiente.

Per fugare i dubbi non resta che consultare il sito della Regione, con l’elenco delle opere avviate dopo l’alluvione del 2010 che ha visto il debutto di Zaia come governatore delle catastrofi del Veneto: la tromba d’aria di Mira, la tempesta Vaia, l’Acqua Granda di Venezia e ora il flagello del ponte dell’Immacolata ai tempi del Covid.

Per uscire dall’emergenza il piano De Marchi post 1966, poi rielaborato dal professor D’Alpaos, propone una rete diffusa di bacini di laminazione e la trasformazione dell’idrovia Padova-Venezia in un canale scolmatore per raccogliere l’acqua in eccesso e salvare la laguna. Un intervento da 500 milioni ignorato dal ministero dell’Ambiente e rilanciato come priorità con il Recovery Fund Ue.

Sono 23 i progetti avviati dalla Regione dal 2010. L’ investimento si aggira sui 500 milioni, 54 dei quali già spesi per i bacini di Caldogno e per quello di Montecchia di Crosara, il primo a tagliare il traguardo per imbrigliare il torrente Alpone che devastò l’autostrada A4 a Montebello. Priorità assoluta.

Tutto il resto marcia con ritardi, anche se il 2021 dovrebbe vedere la svolta per i bacini di Trissino, Tezze ed Arzignano, per la cassa di espansione sul Muson a Fonte di Riese Pio X e anche per il Pra’ dei Gai sul Livenza e Meduna. I due maxi-interventi riguardano l’allargamento dell’invaso a Montebello sul torrente Chiampo con 51 milioni mentre altri 110 milioni se ne andranno per mettere in sicurezza il Piave alle Grave di Ciano e il Lusore che da Borgoricco arriva alla laguna di Marghera. Bottacin se l’è presa con i comitati e il ministro Costa per giustificare i ritardi, ma la sostanza non cambia. Quando piove ci vuole la barca. Ma come si arriva al miliardo speso dal V eneto? Basta scorrere l’elenco della galassia degli interventi nella sezione ambiente e territorio e tirare le somme.

Se a Roma il ministro D’Incà ha garantito il massimo impegno per il rimborso dei danni, i deputati Pd De Menech e Rotta hanno proposto al governo di aumentare le risorse per il dissesto idrogeologico. Da palazzo Ferro Fini, il capogruppo dem Giacomo Possamai osserva invece che «quanto stiamo vivendo in queste ore ci riporta con la mente al 2010. Per la prima volta è stato messo in funzione il bacino di Caldogno che ha protetto Vicenza città dall’onda di piena. Ma il bacino del Tesina è in ginocchio, Torri di Quartesolo è sott’acqua e anche zone di Vicenza a nord e a est. La bussola per uscire dall’emergenza è il cosiddetto piano “D’Alpaos” che indicava oltre 600 opere indifferibili per un importo di 3,2 miliardi. Dopo 10 anni siamo a meno di un terzo: troppi interventi sono fermi. Questo è il tempo di lavorare insieme in Regione tra maggioranza e opposizione per completare le opere necessarie a proteggere il territorio e con il bilancio 2021 deve arrivare un segnale concreto». —


 

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