Maxi-processo senza imputati in aula «Si evita il rischio di pressioni sui testi»

Roberta De Rossi / MESTRE
Aula bunker, atto secondo del maxi-processo a 45 imputati in odor di camorra, accusati di aver imperato per vent’anni su Eraclea e il Veneto Orientale.
Se all’esterno il cielo è plumbeo, all’interno del fortino giudiziario è pioggia di eccezioni preliminari delle difese, con gli avvocati che attaccano ad ampio spettro: chiedono che sindacati e istituzioni non si possano costituire parte civile; dichiarano la presunta incostituzionalità del collegamento degli imputati in videoconferenza, perché verrebbe meno il diritto di difesa, che necessita di un rapporto stretto tra legale e assistito.
Tutte eccezioni respinte dal collegio, presieduto dal giudice Stefano Manduzio: codice alla mano, il Tribunale ritiene che in un processo con 37 dei 45 imputati accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso legata al “clan dei casalesi”, la loro assenza fisica in aula assicuri «un regolare e sereno svolgimento dell’attività dibattimentale», evitando il rischio di «pressioni sulle persone chiamate a testimoniare, se non intimidazioni (magari solo larvate o silenti)».
parti civili TUTTE ammesse
La seconda udienza del processo sul presunto, violento imperversare sul Veneto orientale di una banda dai metodi mafiosi - sostenuto anche dall’omertà di molte vittime taglieggiate - si è aperta con l’ammissione di tutte le parti civili pubbliche che ne hanno fatto richiesta. Nel rigettare le obiezioni delle difese, il Tribunale scrive come sia «del tutto legittima la costituzione di enti territoriali quali Regione, città metropolitana e Comune di Eraclea», per il danno all’immagine e il clamore mediatico «che la sua presenza (....) arreca all’immagine della città, allo sviluppo turistico e alle attività ad esso collegate». Palese «la pretesa lesione del diritto all’immagine del Comune di Eraclea sul quale risulta insediata, secondo l’accusa, un’organizzazione con caratteristiche di tipo mafioso, tanto più significativo perché correlato ad entità criminosa non storicamente radicata nel territorio». Come pure evidente «la legittimazione a rivendicare la lesione del diritto all’immagine per la Regione Veneto con riferimento all’intervenuto radicamento (sempre secondo l’assunto accusatorio) di una struttura criminosa con caratteristica dell’associazione mafiosa, stabilmente insediata nel Veneto, con palese ripercussione negativa sull’immagine e sulla situazione dell’imprenditoria e della politica operanti nel territorio». Quanto a “Libera: contro le mafie” - scrivono i giudici - è pianamente legittima la costituzione di una associazione che «a ragione della propria esistenza ed azione promuove la legalità e la libertà d’iniziativa economica, tutela le vittime di mafia, usura e contrasta ogni forma di criminalità mafiosa».
Infine, sì ai sindacati parte civili, ché tutelano i diritti dei lavoratori, violati da quelle accuse di intermediazione illecita di manodopera e ottenimento subappalti, contestati all’associazione per delinquere.
Tra le parti civili, Ludovico Pasqual (l’unico imprenditore vittima di usura, che ha rotto il muro dell’omertà) e dell’ex traider Fabio Gaiatto, che per altro sta sì scontando una condanna a oltre 15 anni di carcere per una maxi truffa da 26 milioni di euro, ma la cui storia professionale s’intreccia (qui come parte offesa) con quella dell’imputato, Samuele Faè.
IMPUTATI IN VIDEOCONFERENZA
Molti difensori hanno lamentato una violazione del diritto della difesa, perché i loro clienti sono detenuti nelle carceri di tutt’Italia, collegati in videoconferenza, potendo avere con loro solo colloqui telefonici, durante il dibattimento. L’avvocato Gentilini (legale di Luciano e Adriano Donadio, con il collega Renato Alberini) ha paventato in questo una violazione della Costituzione. Eccezioni tutte respinte dal Tribunale: la videoconferenza - scrivono i giudici - è prevista dal codice per «evitare che la possibile presenza fisica porti con sé pressioni sulle persone chiamate a testimoniare, se non addirittura intimidazioni, magari solo larvate e silenti».
battaglia sui testi
L’udienza si è chiusa con nuove eccezioni sulle quali il collegio scioglierà le sue riserve il 22 giugno. Per l’avvocata Patterello sarebbero inutilizzabili tutti gli atti successivi al 2011, per mancata proroga delle indagini. I pm Terzo e Baccaglini hanno contestato la chiamata a testimoniare di tutti i prefetti (compresa l’attuale ministra all’Interno Lamorgese), avanzata dal legale di Donadio. —
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