Morato, 28 milioni in baciate: «Solo un favore alla banca»

Il processo per il crac della Banca popolare di Vicenza. Il “re” del pane vicentino ha ora un debito con la Sga per le azioni acquistate. Zigliotto: «Io ho estinto il finanziamento e come socio ho perso 8 milioni di euro»
Agenzia Candussi - MORSEGO - MESTRE VIA DELLE MESSI - MESTRE PROCESSO BANCA POPOLARE DI VICENZA. IN FOTO ZONIN
Agenzia Candussi - MORSEGO - MESTRE VIA DELLE MESSI - MESTRE PROCESSO BANCA POPOLARE DI VICENZA. IN FOTO ZONIN

MESTRE. «Un favore alla banca». Questa era la ragione delle baciate, milioni di euro passati da una mano all’altra, ma sempre della banca. La pratica (industriale) delle azioni finanziate sono al centro della nuova udienza della Bpvi, ieri all’aula bunker di Mestre. Alla sbarra dei testimoni si sono succeduti prima il funzionario Antonio Criscuolo, ovvero colui che gestì dal punto di vista operativo l’apertura della linea di credito della Zeta dei fratelli Zigliotto (Gianmarco e Giuseppe ex consigliere della Banca Popolare di Vicenza e imputato al processo) per acquisire azioni dell’istituto per 10 milioni di euro. E poi l’imprenditore Luigi Morato, in tutto 28 milioni di operazioni baciate da lui sottoscritte più altri 6 milioni, 3 a testa, a due dei suoi figli.

Criscuolo fisicamente istruì la linea di “denaro a caldo” di 12,5 milioni di euro: una parte usata per acquisire una partecipazione nell’azienda di arredamento Ares Line, il resto per comprare titoli Bpvi. Nella sua deposizione poi parla anche di uno storno di interessi sul conto corrente della Zeta, per 112 mila euro, relativo a quella linea di credito.

Zigliotto incontrerà il funzionario che si era occupato della “sua” baciata solo poche volte in una di queste, l’ex consigliere della Bpvi dirà: «Guarda dove sono finito per fare un favore alla banca». «Era già emersa la questione della Banca Popolare di Vicenza – racconta Criscuolo - c’era stata la Guardia di Finanza le perquisizioni, credo ci fosse stato il giorno prima un consiglio di amministrazione particolarmente burrascoso, erano usciti degli articoli di giornale, è stato l’ultimo incontro che Baruffato ha avuto con Zigliotto e c’ero anche io». La Zeta chiude, è Zigliotto a margine dell’udienza a spiegare bene, «con risorse proprie» il debito con la banca. L’ex consigliere riuscirà anche a vendere parte delle sue azioni, fece richiesta a fine 2014 e l’operazione venne chiusa nel 2015, in tutto si libererà di poco meno della metà dell’investimento. Resterà azionista con altri 5,5 milioni, cui si sommano 1,5 milioni già detenuti precedentemente, spiega Zigliotto, e poi 500 mila euro dell’aumento di capitale del 2013. In tutto tra interessi passivi pagati sulla linea di finanziamento e azzeramento delle azioni la cifra complessiva persa da Zigliotto, sottolinea lui stesso, ammonta a circa 8 milioni di euro.

Diversa ma ben più illuminante per tracciare i contorni di quel groviglio armonioso che stringeva mortalmente imprenditori vip e banca è invece la deposizione di Luigi Morato. Il re del pane nel 2006 si riappropria della sua azienda dopo aver rilevato la maggioranza precedentemente ceduta ad un’azienda dei Barilla. Nel capitale della nuova Morato Pane entra anche Nem, la sgr della Bpvi. Morato è dunque conosciuto dalla banca, un ottimo cliente, con un ottimo merito creditizio. Così, racconta l’imprenditore, il direttore generale Sorato e il suo vice Giustini, con Giacon, allora direttore regionale e il gestore private Rizzi, lo vanno a trovare in azienda. «Dobbiamo chiederti un favore» sarà l’esordio di Sorato. E lì la proposta: una linea per iniziali 10 milioni (che poi diverranno 28 nel corso del tempo) per acquistare azioni della banca. La promessa di poter «chiudere l’operazione in qualsiasi momento». «Era solo un favore che io facevo alla banca» ripete Morato esattamente come Zigliotto. Un favore che aveva come contropartita un 1% di rendimento sull’investimento (100 mila euro fatto con i soldi della banca). Siamo nel 2011, poi le operazioni aumenteranno fino ai 28,6 milioni di euro che oggi sono in carico a Sga e una denunzia fatta alla banca depositata al Tribunale delle Imprese da parte di Morato. «A me il rientro dei soldi la banca non me lo ha mai chiesto» dice Morato che non parla mai con Zonin di quelle operazioni fatte. In fondo chiosa Morato: «Non erano mica soldi miei erano della banca, perché con una mano dava il denaro e con l’altra prendeva le azioni. Io stavo solo facendo un piacere». —


 

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