Nata cieca e tetraplegica, da 9 anni aspetta giustizia

Sul banco delle imputate, in appello, due ginecologhe dell'ospedale di Rovigo. La famiglia di Eleonora chiede risarcimento di 30 milioni, sarebbe il più alto di sempre, in Italia

VENEZIA. Tra qualche giorno Eleonora compirà 9 anni, è leggermente più alta rispetto alle altre bambine della sua età e ha una lunga vita davanti, ma fatta di dolori atroci, di sofferenze e di buio. Eleonora non può vedere, nè sentire, nè parlare, ha continui attacchi epilettici ed è affetta da tetraplegia spastica sin dalla nascita. Ha già subito oltre 20 interventi che servono solo a ridurre - per quanto possibile - il dolore.

Una sfortuna dettata dal caso? Niente affatto, sostengono la Procura di Rovigo e una decina di medici ed esperti chiamati a esaminare il caso: i danni cerebrali riportati da Eleonora sono stati causati dalle decisioni sbagliate, «dalla negligenza» e dall'«imperizia» delle due ginecologhe di turno nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 2008 quando Eleonora venne alla luce dopo un travaglio di 15 ore e dopo essere rimasta senza ossigeno per 4 ore.

Giovedì 30 novembre si concluderà, di fronte alla terza sezione penale della Corte d’appello di Venezia, presieduta da Alessandro Michele Apostoli Cappello, il processo su ciò che avvenne quella notte al Santa Maria della Misericordia di Rovigo. E forse Eleonora e i suoi genitori potranno almeno ottenere giustizia. E sperare in indennizzo sul quale il Tribunale di Rovigo si pronuncerà agli inizi del 2018: un risarcimento di 30 milioni di euro - che sarebbe il più alto mai concesso in Italia - per permettere a Eleonora di vivere dignitosamente.

Cosa accadde quella notte? Benedetta Carminati e Davide Gavazzeni sono due coniugi originari di Bergamo. A settembre 2008 la coppia si trasferisce a Fiesso Umbertiano, in provincia di Rovigo per motivi di lavoro. Lei, che è al quinto mese di gravidanza, trova impiego in una gelateria, lui gestisce la ditta edile di cui è titolare. Alle 10 del mattino del 2 dicembre, con tre giorni di anticipo rispetto alla data prevista per il parto, Benedetta e suo marito corrono in ospedale: la donna è in preda alle doglie.

Trascorreranno 15 ore prima che Eleonora venga al mondo alla mezzanotte e sei minuti del 3 dicembre. Nel frattempo saranno prese una serie di decisioni sbagliate. Alle 16 la diabetologa che ha in cura la donna che soffre della patologia congenita con un ottimo livello di controllo, chiede più volte che Benedetta sia sottoposta a parto cesareo. Della stessa opinione è anche un altro ginecologo. Ma la dottoressa Dina Paola Cisotto esclude categoricamente il taglio cesareo. Alle ore 20, secondo il racconto dell’avvocato della famiglia Gavazzeni, Mario Cicchetti, all’agenzia AGI, il tracciato cardiotocografico che consente di registrare la frequenza cardiaca fetale mostra sofferenza della bambina. Ma la ginecologa che è in turno, Cristina Dibello, decide di aspettare.

Alle 21.20 il tracciato mostra uno stato «patologico». Dalle 21.40, per un’ora e 10 minuti, decide di interrompere il tracciato. Alle 22.51 riaccende la registrazione del battito: è «severamente patologico». A quel punto, la dottoressa cerca di accelerare quel parto impossibile. Fa ripetute manovre di Kristeller sull’addome della mamma di Eleonora, sconsigliate dalle linee guida per un feto in quella posizione e in conclamato stato di asfissia. Richiama in ospedale la collega Dina Paola Cisotto, che, arrivata, non allerta la sala operatoria e, senza visitare la paziente e senza quindi rendersi conto della posizione errata della bimba, ricomincia con le Kristeller.

Poi prova con la ventosa, che si usa quando il parto è già a buon punto. Non ce la fa. La ventosa si rompe. Riprova addirittura con un’altra ventosa. Niente. Solo a quel punto le dottoresse decidono di procedere col cesareo, dopo 4 ore di asfissia totale per la bambina. Alle le 23.45 Benedetta viene sottoposta ad anestesia totale e portata in sala operatoria.

Eleonora viene alla luce poco dopo con una diagnosi impietosa e una condanna a vita: la piccola è totalmente invalida. «La bambina è nata morta - spiega Cicchetti - È stata rianimata subito e alle 3.34 è stata trasferita all’ospedale di Padova. Alle 14.30 del giorno successivo è stata trasportata di nuovo a Rovigo e la sera stessa si è disposto un nuovo trasferimento nella sala rianimazione dell’ospedale di Padova dove è rimasta fino a gennaio.

Nove anni dopo Eleonora ha le stesse difficoltà e gli stessi bisogni di quando era una neonata. «È un vegetale, ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, ha dolori atroci con l’aggravante che non può esprimersi». Negli anni ha subito già una ventina di interventi al cervello, ai polsi, alle ginocchia, piedi, braccia. «È in continuo stato di tensione muscolare. E così, i dottori sono costretti ad aprire, tagliare i tendini e richiudere» per alleviare un po' il dolore.

E per lo stesso motivo, la famiglia si è trasferita a Ravenna dove ha preso una casa in affitto vicino al Centro iperbarico del professor Pasquale Longobardi«. I giorni in cui Eleonora è fuori dall’ospedale si possono contare. E non andrà meglio in futuro: »Ha la stessa aspettativa di vita di una persona sana«.

Intanto la coppia ha perso tutto. Anche a livello economico: »Benedetta si è licenziata per assistere Eleonora. Davide per forza di cose ha dovuto mettere in secondo piano l’attività e alla fine è stato costretto a chiuderla. Hanno quasi perso anche un pulmino che il padre aveva acquistato in leasing e attrezzato per il trasporto di Eleonora. Non era riuscito a pagare le ultime 5 rate e glielo avevano pignorato. Solo l’aiuto del prete della loro parrocchia, a Rovigo, don Silvio, gli ha permesso di pagare le rate e tenere il furgone, l’unico mezzo col quale la figlia può essere trasportata.

Per il primo grado le ginecologhe sono innocenti. Mentre Eleonora cresceva, i suoi genitori cercavano giustizia nelle aule dei tribunali. A gennaio del 2016, dopo 16 udienze, per Dina Paola Cisotto e Cristina Dibello è arrivata una sentenza di assoluzione in primo grado con formula piena. La famiglia Gavazzeni non si è arresa e ha fatto ricorso in appello.

Il fulcro è tutto qui: «In un processo così tecnico il tribunale non aveva ritenuto necessario disporre una perizia d’ufficio», osserva Cicchetti. Nei successivi mesi sono state effettuate diverse perizie svolte da terze parti: un neonatologo, un ginecologo e un medico legale delle Marche.

Ma a suggerire la catena dei gravissimi errori in sala parto ci sono anche le altre consulenze: la perizia d’ufficio disposta dal gip Carlo Negri - che respinse la richiesta di archiviazione - e quella, per conto dei giudici di Venezia, firmata dal professor Adriano Tagliabracci (lo stesso del caso Meredith Kercher).

Il 30 novembre ci sarà l’ultima udienza. L’avvocato e i genitori di Eleonora sperano in un ribaltamento dell’assoluzione e nel riconoscimento delle responsabilità delle due ginecologhe. Se anche fossero ritenute colpevoli, però, le due non pagherebbero per il reato di «lesioni colpose gravissime», caduto ormai in prescrizione.

L’udienza non sembra preoccupare Riccardo Venturi, legale della dottoressa Dibello: «Non ha alcuna colpa - ha dichiarato all’AGI - Si sostiene che il tracciato fosse patologico già da ore, ma non è così e quindi la dottoressa ha continuato sulla via del parto naturale. La lettura del tracciato, inoltre, è opinabile. I nostri consulenti sono d’accordo sul considerare quei tracciati normali fino a quello delle 22.50, quando infatti, la Dibello ha richiesto il consulto della collega. Nessuno è in grado di dire quando la sofferenza sia insorta».

Non solo: «La dottoressa è accusata di "imperizia" per non aver saputo leggere il tracciato. Ma, secondo la legge Gelli-Bianco, l’imperizia non è punibile. Se anche la corte d’appello la ritenesse colpevole non sarebbe possibile comminare una pena. La dottoressa ne uscirà pulita».

Parallelamente, va avanti anche un processo civile, avviato a Rovigo nel 2013, per il risarcimento di 30 milioni di euro richiesto dalla famiglia Gavazzeni. Si tratta della cifra più alta mai richiesta in Italia, ma a sostenerla ci sono 4 faldoni colmi di preventivi e documenti. Prima di arrivare a questa richiesta, come prevede la normativa, l’avvocato aveva fatto un tentativo di conciliazione. Era il giugno del 2012 quando la Ulss 18 di Rovigo chiese che Eleonora fosse visitata da un terzo: il professor Salvatore Alberico, direttore dell’Ospedale Pediatrico di Trieste, che riconobbe la responsabilità di entrambe le ginecologhe. «Ma la compagnia assicurativa dell’Ospedale di Rovigo - spiega Cicchetti - si rifiutò di pagare. E allora la cifra non era così alta».

La mediazione saltò e il processo andò avanti. Il 14 dicembre ci sarà una nuova udienza alla quale dovrà partecipare - in maniera coatta - anche l’ex direttore dell’ospedale Adriano Marcolongo, che ha disertato la testimonianza in aula per ben due volte consecutive e ha dichiarato di non sapere «nulla» del caso. All’inizio del 2018 anche questo capitolo dovrebbe arrivare a una conclusione.

Perchè la cifra astronomica di 30 milioni di euro? «Per permettere a Eleonora di essere assistita 24 ore su 24 e assicurarle una vita più o meno dignitosa. Per offrirle una casa adeguata agli standard necessari, trasferimenti idonei senza crearle ulteriori problemi. Per permettere ai genitori di acquistare un camper e dotarlo di tutto ciò di cui necessita Eleonora perchè nessuno dei 160 alberghi contattati e che si trovano vicino agli ospedali che possono aiutare la bimba sono tecnicamente pronti a riceverla».

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