'Ndrangheta, maxi retata: 169 arresti, 5 anche in Veneto

PADOVA. «Qua c’è il ben di Dio… !». Vincenzo Giglio ha 26 anni appena ma durante un colloquio con il padre Salvatore dimostra di aver capito molto bene come gira in Veneto. Per le cosche la nostra regione è “il ben di Dio” ed è sicuramente questo il motivo per cui ormai da anni tra Padova, Treviso, Venezia, Vicenza e Verona si sono stabilite persone che costituiscono punti di riferimento fissi per la ’ndrangheta. Parliamo di Alessandro Gabin, 48 anni, residenza a Marghera (in via Cibrario 8) ma di fatto domiciliato in Germania con le sue aziende per il noleggio di auto di grossa cilindrata; di Marco Gaiba, 55 anni, veneziano d’origine con residenza a Mogliano Veneto (in via Ragazzi del ’99 12), socio unico della Chemnet Srl, di fatto prestanome al soldo della famiglia Aloe ma anche presidente della società calcistica Pro Mogliano; di Giovanni Spadafora, 45 anni, calabrese residente a Vigonza in via Regia 55, definito senza mezzi termini “uomo di fiducia della cosca sul territorio padovano”; di Antonio Bartucca, 49 anni, anch’egli calabrese con residenza a Vigonza in via Marco Polo 31, socio in affari di Spadafora e punto di riferimento dell’organizzazione; di Gaetano Aloe, 39 anni, crotonese residente a Trissino (Vicenza) in via Oltreagno di mezzo 38, appartenente alla cosca di Cirò Marina ora commissariato per mafia.

Il terremoto che ha portato all’arresto di 169 persone, tra cui anche il presidente della provincia di Crotone Nicodemo Parrilla, travolge in pieno anche il ricco Veneto. L’inchiesta del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, affidata ai carabinieri del Ros, descrive una regione già ampiamente colonizzata dagli uomini della criminalità organizzata. La mission sta scritta nero su bianco nell’ordinanza: «Investire denaro per l’apertura o l’acquisizione di nuove attività imprenditoriali nelle zone del padovano: una società immobiliare, una società di security per i locali della zona, un’azienda nel settore della panificazione. Nonché per aver cercato di inserirsi in lavori pubblici, con ditte agli stessi riconducibili, fornendo i relativi mezzi d’opera».
Gli spunti investigativi che hanno consentito di svelare le dinamiche interne del sodalizio provengono dal contenuto delle intercettazioni dei colloqui carcerari, registrati al Due Palazzi di Padova, dove Giuseppe Farao, capo indiscusso del locale di Cirò e Salvatore Giglio, hanno scontato un periodo di detenzione. Proprio in quel periodo avevano studiato un sistema per comunicare nella sala colloqui, quando entrambi si trovavano con i parenti. Le mogli, Assunta Cerminara e Carmela Roberta Putrino, facevano addirittura il viaggio insieme dalla Calabria a Padova, trovando poi vitto e alloggio organizzati alla perfezione da Antonio Bartucca e Giovanni Spadafora.
Gli investigatori contestano a Gaiba di costituire uno schermo societario fittizio, per dissimulare la reale gestione e proprietà delle società in capo agli Aloe.
Quanto a Gabin, rischia persino di rimetterci la pelle a Isola Capo Rizzuto. Un bel giorno, viaggiando al volante della sua Audi Q7, due sicari tentano di ammazzarlo sparandogli contro quattro colpi di pistola. Riesce a salvarsi solo perché, terrorizzato, corre a chiedere aiuto nella caserma dei carabinieri. Si scoprirà poi che tutto nasce per una questione di donne ma anche di affari. Perché lì, tra affiliati alle cosche, i problemi si risolvono con il piombo.
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