Niente migranti nell’ospedale fantasma

Schio, cade l’ipotesi di hub lanciata dal prefetto e riprende quota il progetto di ristrutturazione dei sette piani dismessi
Di Renzo Mazzaro

VENEZIA. Ha alzato la voce da par suo Luca Zaia contro l’ipotesi del prefetto di Vicenza di utilizzare l’ospedale dismesso di Schio per dare un tetto ai profughi. «Sarebbe l’ennesima follia», ha scandito «è emblematico che uno Stato con centinaia di migliaia di immobili inutilizzati, che per giunta non riesce neppure a vendere, venga a gravare con un’emergenza le efficienti strutture sanitarie venete». Almeno uno con le idee chiare.

Peccato che nessuno ricordi di aver mai sentito il presidente del Veneto alzare la voce perché l’ospedale di Schio, di proprietà della Regione, è chiuso dopo che nel 2012 medici e malati sono stati trasferiti nel nuovo ospedale costruito a Santorso. Nessuno sa cosa farne. O meglio c’era chi lo sapeva. Quando nel dicembre del 2003, ad una cena privata, l’eurodeputata Lia Sartori comunicò la decisione, ancora ignota in Regione, di costruire in project financing il nuovo complesso, chiudendo gli ospedali di Schio e di Thiene, il direttore generale Sandro Caffi aveva già deciso: «Venderemo gli immobili per sostenere i costi del pubblico». Poi fece marcia indietro: «Non serve più vendere», disse al Giornale di Vicenza, «meglio trasformare gli ospedali di Thiene e Schio nel centro di tutti i servizi sociosanitari di base». La nuova linea fu subito recepita in un documento dalla conferenza dei sindaci.

Ma Ermanno Angonese, successore di Caffi alla guida dell’Usl 4, aveva altre mire per Schio: buttare giù tutto e realizzare ex novo il centro dei servizi sanitari, destinando parte della volumetria a edifici e abitazioni private, da mettere sul mercato. E i soldi? «Li troveremo facendo un project financing». Così parlò Angonese, tra il 2011 e il 2012, quando bontà sua chiamò a consulto Pietro Veronese, che gli rompeva le scatole sul project di Santorso, per fargli vedere la cartografia dell’operazione Schio. Aveva commissionato il lavoro all’architetto Luisa Fontana, chiedendole di fare tabula rasa dei due edifici: il monoblocco (7 piani di cui solo uno utilizzato oggi) e l’ex piastra delle sale operatorie costruita successivamente (3 piani che oggi ospitano ambulatori di analisi, radiologia, consultori). L’effetto era poderoso: un immenso spazio di centomila metri quadrati, completamente liberi, da riempire a piacimento. Non era una grande idea?«Prima risolviamo i problemi del project di Santorso», gli rispose laconico Veronese. Il quale con l’associazione Comunitas aveva scoperto i veri costi del nuovo ospedale: 170 milioni di euro, di cui 54 anticipati da imprenditori privati, che vengono ripagati con un canone annuo di 40 milioni, da sborsare per 24 anni, con interessi che vanno dal 19 al 21%). Tutte esagerazioni, ha ribattuto la direzione dell’Usl: la rata annuale pagata dal pubblico è di soli 29 milioni. Ma questa cifra - replica Comunitas - si raggiunge scorporando il costo dei servizi sanitari messi a disposizione dai privati. Sia come sia, il rischio imprenditoriale dei gestori è azzerato per un quarto di secolo.

Da allora, del progetto Angonese-Fontana nessuno parla più. Non se ne occupa neanche Daniela Carraro che il 1° gennaio 2013 è subentrata ad Angonese. Proviene dalla direzione generale dell’Usl 21, dove ha chiuso gli ospedali di Zevio, Bovolone e Nogara, concentrando i posti letto nell’ospedale di Legnago. Che non è nuovo ma ristrutturato. La Carraro sa del progetto ma non dimostra entusiasmi. Perché? «Non vedo che l’intervento urbanistico sul vecchio ospedale sia una priorità della nuova amministrazione comunale di Schio». Tanto più che è stata contattata da alcune società straniere, interessate a rilevare le strutture dismesse per attrezzarle a cure complementari. Torna la prima ipotesi Caffi? «Prima di bandire gare, voglio capire se c’è un interesse vero», dice la Carraro.

Nell’attesa, il monoblocco di 7 piani si staglia sul cielo di Schio, vuoto e inutile, da 3 anni. Come le centinaia di migliaia di immobili dello Stato, ricordati da Zaia. Nessun ospedale dismesso in Italia è stato finora requisito per diventare l’ospedale dei profughi e non succederà neanche a Schio. Il prefetto Eugenio Soldà, quello che va allo stadio di calcio con la mazza da baseball perché con i tifosi non si sa mai, ha dovuto battere in ritirata. Ma c’è un colpo di scena: giovedì scorso il progetto Angonese-Fontana è stato riesumato, presentato al Comune e inserito nel Pati, il Piano di assetto territoriale. Un passaggio ufficiale che pochi conoscevano. Con un particolare rimasto in ombra: lo sventramento urbanistico verrebbe realizzato con un project financing. Ma niente paura, a Palazzo Balbi sanno di cosa si tratta.

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