No al Jobs act, Pd diviso «Stop ai 5 deputati ribelli»

Il segretario De Menech: c’è il rischio di erodere il consenso ottenuto da Renzi Nella “lista nera” Bindi, Miotto, Zoggia, Mognato e Zan appena entrato nei Dem
Di Albino Salmaso
Foto Roberto Monaldo / LaPresse.22-10-2013 Roma.Politica.Rosy Bindi eletta presidente della Commissione Antimafia.Nella foto Rosy Bindi esce dalla commissione subito dopo l'elezione..Photo Roberto Monaldo / LaPresse.22-10-2013 Rome (Italy).Rosy Bindi elected president of the Anti-Mafia Commission.In the photo Rosy Bindi
Foto Roberto Monaldo / LaPresse.22-10-2013 Roma.Politica.Rosy Bindi eletta presidente della Commissione Antimafia.Nella foto Rosy Bindi esce dalla commissione subito dopo l'elezione..Photo Roberto Monaldo / LaPresse.22-10-2013 Rome (Italy).Rosy Bindi elected president of the Anti-Mafia Commission.In the photo Rosy Bindi

PADOVA. Le primarie, il rito salvifico della politica Dem, rischiano di diventare un flop dopo lo sciopero del voto in Emilia Romagna? «Ma no, ma no» ribatte convinto il segretario regionale Pd Roger De Menech. «Certo, non raggiungeremo le 100 mila adesioni del 2013 come per la sfida tra Renzi, Cuperlo e Civati ma, a differenza di Luca Zaia che si è autocandidato alla guida del Veneto come se fosse un imperatore, il Pd porterà alle urne decine di migliaia di cittadini per gettare le basi della vittoria del 2015. Piuttosto sono preoccupato per il clima nazionale, per le tensioni esplose alla Camera sul Jobs Act, con 5 deputati veneti che non hanno votato la riforma di Renzi con cui far ripartire il mercato del lavoro. Sono stati Bersani e Damiano a costruire gli emendamenti del nuovo articolo 18 che disciplina i licenziamenti e se anche Epifani, ex segretario Cgil, ha votato la riforma ogni altra posizione appare ingiustificata».

Roger De Menech è in treno, sta raggiungendo Milano e dà fiato al malcontento dei renziani: il segretario regionale Pd sottolinea che su 40 deputati usciti dall’aula martedì scorso, 5 sono veneti. E a guidare poi la pattuglia dei «29 ribelli» Pd che hanno firmato il documento del no a Jobs Act è Rosy Bindi che ad Abano ha sciolto la Dc nel 1993 per il terremoto di tangentopoli e fatto rinascere il Ppi, primo nucleo dell’Ulivo di Prodi che nel 1996 ha battuto Berlusconi. Con la Bindi c’è in primis Margherita Miotto, padovana, ex assessore regionale alla Sanità, e poi due bersaniani-cuperliani di Venezia: Michele Mognato e Davide Zoggia, il braccio destro dell’ex ministro dell’Industria e leader Pd che ha ceduto lo scettro a Enrico Letta nel 2013 dopo aver vinto di un soffio le elezioni su Grillo e Berlusconi.

Tra gli assenti alla Camera pure il padovano Alessandro Zan, che ha abbandonato Vendola e Sel per tornare nel Pd con il gruppo di Gennaro Migliore. Ma sul Jobs Act ha vinto il richiamo del sindacato e della sinistra e Zan ha dato forfait.

De Menech è amareggiato, evita processi sommari e ricorda che c’è il rischio di riportare il Pd al 20% in Veneto: la Cgil che appoggia il referendum della Lega per cancellare la riforma Fornero spalanca le porte al trionfo di Zaia e alla svolta populista della Lega di Salvini.

Tornare all’Ulivo, supplica invece da Roma Rosy Bindi, a quel progetto che ha tenuto insieme i cattolici riformisti e gli eredi del Pci sconfitti dalla storia, anche se fu proprio Bertinotti e servire il calice amaro delle dimissioni a Prodi.

Tornare alle origini e abbandonare il nuovo corso di Renzi? Mai e poi mai, dice convinto Roger De Menech. La new generation cresciuta con le primarie volute da Veltroni, i twitter, il partito leggero virtuale su Fb senza padroni delle tessere e le cene da mille euro con le sottoscrizioni stile Usa, deve ora fare in conti con l’opposizione interna della «vecchia guardia» che minaccia la scissione per negoziare emendamenti in linea con la storia del movimento dei lavoratori. Un mix difficile da conciliare.

E poco importa l’appello di Orfini, presidente del Pd, ex «allievo» di D’Alema: «Ci vuole più lealtà o diventiamo una comune anarchica», ha scritto con un dotto riferimento all’utopia marxiana stampata sui libri di storia. I 5 deputati «ribelli» non andranno mai a Canossa e il segretario De Menech lancia loro l’ultimatum: fermatevi. Perché i sondaggi hanno visto il Pd arretrare di 5 punti, mentre il centrodestra ha riconquistato consensi con il trionfo della Lega in Emilia e ha preso il largo, oltre il 40%. Che senso ha litigare nel Pd per fare la fine dei capponi di Renzo al banchetto di Zaia?

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