«No alla violenza» Gli imam raccolgono l’appello alla pace

VENEZIA. «Noi non c’entriamo niente con la violenza dell’Is. Questa pubblicità è molto negativa per noi, per l’islam, per le nostre famiglie», Weal Farhat, presidente della comunità islamica marocchina di Venezia, approva l’appello di don Giuliano Vallotto - il delegato ai rapporti tra cristiani e musulmani della diocesi di Treviso – a respingere ogni forma di violenza. Ma Farhat è molto attento a non cadere nelle provocazioni: «Ora è meglio non fare dichiarazioni pubbliche - spiega - la situazione è troppo delicata: noi siamo lavorando affinché tutte le comunità islamiche del Veneto trovino un coordinamento, riescano a parlarsi e a fare iniziative comune».
La prima, più importante, sarà un incontro con il governatore del Veneto Luca Zaia, che vuole «guardare negli occhi» i capi delle comunità islamiche che vivono nella nostra regione. Un incontro la cui organizzazione è stata affidata a Abdallah Khezraji, vicepresidente della consulta per l’immigrazione, marocchino che vive a Treviso da quasi trent’anni.
Raccoglie l’appello di don Giuliano certamente l’imam di Thiene Mohammed Babi, marocchino di 34 anni, in Italia da sei, che qualche giorno fa ha tenuto il suo sermone del venerdì con traduzione italiana. Un sermone tutto incentrato sulla misericordia dell’islam: «I musulmani non c’entrano niente con gli omicidi dell’Isis – commenta Rami Adil, che ha tradotto il sermone in italiano -. Quelle sono persone che hanno problemi, perseguono i loro interessi e usano l’Islam solo come una scusa per attuare violenze. Il nostro profeta insegnava la misericordia, loro l’odio».
Nel Veneto sono più di novanta i centri islamici ufficialmente censiti dove ogni venerdì si predica la parola di Maometto, rivolti verso la Mecca. Sono controllati discretamente dagli investigatori che si occupano di terrorismo internazionale ma finora non sono emersi elementi che portino a ritenere che questi luoghi siano potenziali luoghi né di reclutamento né di radicalismo. Anzi, se ciò accade – come nel caso dell’imam di San Donà di Piave - sono gli stessi musulmani a denunciare il fatto. Lo scorso agosto, infatti, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha disposto l'espulsione del cittadino marocchino Abd Al-Barr Al-Rawdhi, per grave turbamento dell'ordine pubblico e pericolo per la sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi. In un suo sermone aveva incitato all’odio nei confronti degli ebrei. Le sue parole erano state immortalate in un video reso noto dalla Middle East media research institute, organizzazione che ha la sede principale a Washington ed è vicina alla causa israeliana: «Oh Allah porta su di loro ciò che ci renderà felici. Oh Allah, contali uno ad uno e uccidili fino all'ultimo. Non risparmiare uno solo di loro».
Proseguono con discrezione le indagini dei carabinieri del Ros del Veneto e della Digos sui musulmani che si sarebbero arruolati in Siria tra le fila dell’Is, l’esercito irregolare del Califfato. Due di questi hanno vissuto a lungo nel Bellunese: Ismar Mesinovic, di Longarone, scomparso a dicembre con il figlioletto di tre anni e morto a gennaio in Siria; e il connazionale Munifer Karamalesky, vissuto in Alpago e morto lo scorso mese di marzo sempre in Siria. (d.f.)
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova