Nome in codice Elefante: così il nero spariva verso i paradisi fiscali

VENEZIA. Bastava dire la parola magica telefonando in Svizzera e nel Veneziano arrivava in auto lo spallone per fare il carico del “nero” e portarlo al riparo dal Fisco.
«Elefante» era la parola chiave per Flavio Campagnaro, imprenditore immobiliare mestrino con partecipazioni in altre società immobiliari e ortofrutticole. «Muflone» quella del socio Sergio Marangon. E lo spallone si metteva in moto.
Le consegne avvenivano al vecchio casello autostradale di Dolo o nei pressi del ristorante “Piccolo Hotel” a Scorzè. «L’uomo di circa 40-50 anni che veniva a ritirare il denaro si presentava con un’Audi SW scura con targa svizzera. Con lui non vi era assolutamente dialogo e nemmeno so come si chiamasse. Talvolta riceveva la consegna dal finestrino», ha raccontato ai finanzieri Sergio Marangon nel verbale finito agli atti dell’inchiesta. A volte veniva uno spallone più tarchiato e anziano. Gli imprenditori consegnavano i soldi usando le borse della spesa.
Tariffe e flussi.
«Con Filippo (San Martino di San Germano d’Agliè, ndr) concordammo che la persona che ritirava la consegna avrebbe ricevuto l’1% della somma a titolo di compenso», ha chiarito Marangon. Che ha anche quantificato le consegne: 40-50 mila euro alla volta per un totale di 30-40 consegne che «iniziarono in lire alla fine degli anni Novanta e durarono per una decina d’anni, comunque non oltre lo scudo del 2009 che utilizzai per cessare ogni mia posizione estera».
«Posso dirvi che avrò chiamato lo spallone tra le 50 e le 80 volte (...) a tranches non inferiori a euro 100mila cadauna, affidandogli complessivamente una somma ammontante ad alcuni milioni di euro (...) interamente scudati. I depositi avvenivano presso una o due banche svizzere di Losanna tra le quali ricordo solo la Banca Espirito Santo. San Martino mi fu presentato, una ventina di anni fa, da personale della Capiparo di Padova», ha precisato Flavio Campagnaro ai finanzieri, in relazione alla propria posizione.
Assieme al nipote Mattia Campagnaro avrebbe portato fuori dall’Italia 5 milioni di euro, poi scudati, grazie al sistema orchestrato dagli intermediatri svizzeri De Boccard e San Martino, indagati dalla Procura di Venezia per esercizio abusivo dell’attività finanziaria assieme ai commercialisti Guido e Christian Penso e Paolo Venuti, oltre alla moglie di quest’ultimo, Alessandra Farina, accusati di riciclaggio.
Nero... per forza
È ancora Flavio Campagnaro a raccontare che tramite De Boccard aprì una società panamense per un investimento in Romania. «Negli anni, grazie alla mia attività imprenditoriale, ho accumulato ricchezze anche provenienti da evasione fiscale. Lo sapete, era la prassi, anche indotta dall’esagerata pressione fiscale, Fattostà che i soldi in “nero” avevo bisogno di depositarli all’estero», ha proseguito l’imprenditore.
No droga, solo nero
San Martino non voleva rogne. E con gli imprenditori era stato chiaro. Se i denari fossero provenuti da armi o droga, si sarebbero potute aprire rogatorie internazionali e, di conseguenza, problemi a non finire. «Noi specificammo che si trattava di “nero” proveniente da evasione fiscale e null’altro», ha raccontato Sergio Marangon, «Lui a quel punto ci disse che non ci sarebbero stati problemi».
Soldi al sicuro
La regola era chiara: «Una volta consegnati, i denari erano come versati. Se la persona subìva un furto o un sequestro, erano affari suoi». I finanzieri hanno scoperto che gli spalloni facevano anche delle staffette per portare i soldi in Svizzera, così da scongiurare il rischio di controlli.
L’affare in Nicaragua
Filippo San Martino propose ad alcuni imprenditori, tra cui a Ignazio Baldan, attivo nel settore calzaturiero a Fiesso d’Artico, un investimento in una fazenda in Nicaragua. «San Martino mi aveva accennato alla possibilità di ottenere un buon guadagno. Mi ha detto di essere coinvolto anche lui nell’investimento e che ci sarebbero stati altri “azionisti”. Acconsentii quindi a investire circa 250mila euro». Poco chiaro l’esito di questo investimento, come ha riferito l’imprenditore agricolo rodigino Primo Luigi Faccia.
L’investimento a Dubai
La voglia di investire nel mattone di lusso c’è. E così un gruppo di imprenditori e professionisti padovani parte nel 2006 per Dubai per valutare investimenti immobiliari. Flavio Campagnaro riferisce che nel gruppetto gli pare di ricordare anche il commercialista Paolo Venuti. «Per fortuna, visto che poi so che tali investimenti sono andati male, non li ho effettuati».
Commercialista morto
“Chi le presentò Filippo San Martino?”, chiedono i finanzieri a René Fernando Caovilla. «Probabilmente un commercialista di Venezia», risponde l’imprenditore calzaturiero di Fiesso d’Artico facendo il nome di un professionista morto. E i soldi in “nero”? «Ritengo si tratti di somme non regolarizzate all’origine, che venivano affidate a professionisti operanti con l’estero al fine di depositarle in Svizzera. Certamente tutto l’importo è stato oggetto di scudo fiscale nel 2009, strumento tramite il quale ho rimpatriato tutte le posizioni estere».
Interessi sui foglietti
Chi investiva in Svizzera aveva anche diritto a sapere come stavano i propri soldi. E così Filippo San Martino di San Germano periodicamente si faceva vedere a Padova, come ha raccontato l’imprenditore alberghiero Odino Polo: «Credo circa ogni sei mesi mi telefonava dicendomi che sarebbe passato per Padova e che avrebbe potuto darmi informazioni. Ci vedevamo allo Sheraton e ricordo che c’erano anche altre persone che parlavano più o meno a turno con San Germano.
«Quando toccava a me, mi esibiva dei fogli sui quali era tracciato più o meno l’andamento degli interessi che avevo maturato. Se non sbaglio erano fogli scritti a computer e non documentazione ufficiale».A Polo, questo modo di fare sembrava sinonimo di poca affidabilità. «La cosa non mi faceva stare tranquillo e infatti non vedevo l’ora di rientrare del capitale che per me era consistente».
Il “pentimento”
«Aderii subito quando vi fu la possibilità di rientro garantita dallo scudo fiscale», ha ripercorso Polo, «Non volevo incorrere in procedimenti penali per la cospicua somma investita all’estero, atteso che ero consapevole di aver impiegato in Svizzera importi sottratti al Fisco». —
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