«Non cerchiamo Maniero, però...»

I Rizzi, a cui l’ex boss fece uccidere due fratelli: se lo incontriamo faremo quello che ci dice il cuore

VENEZIA. Di Felice Maniero dicono che sanno dove abita, che non lo andranno mai a cercare, ma che se lo incontrassero casualmente farebbero quello che il cuore suggerisce loro di fare. Dicono anche che all’ex boss e ai sodali della Mala del Brenta faranno causa civile chiedendo il risarcimento dei danni per l’uccisione dei fratelli. Spiegano che le “batterie” non potranno riprendere il controllo della droga a Venezia perché oggi esso è saldamente in mano agli stranieri. E che anche al Tronchetto le cose sono profondamente cambiate. Sostengono che loro i conti con la giustizia li hanno pagati fino in fondo e che vorrebbero fare una vita normale, ma che gli ostacoli dello Stato appaiono a tratti insuperabili. Loro sono i Rizzi superstiti, i fratelli di Maurizio e Massimo che gestivano il traffico di droga a Venezia e furono uccisi nel marzo del 1990 dalla Mala del Brenta. Un delitto eclatante, di cui ha parlato, tra le altre cose, Maniero nell’intervista pubblicata dai nostri quotidiani; ha spiegato che sono morti perché avevano a loro volta ucciso Marziano, al secolo Giancarlo Millo, uomo di Felicetto. Dopo quell’intervista, Andrea e Alessandro “Doic” Rizzi hanno chiesto di poter «dire la nostra verità» sull’omicidio e sulla criminalità veneta di ieri e di oggi.

L’omicidio e i conti da pagare. «I nostri fratelli non sono stati uccisi perché hanno sgarrato: non hanno mai messo piede al di là del ponte. E neppure per Millo, perché il Marziano non lo hanno ammazzato loro e questo lo possiamo garantire. C’è solo un pentito, Levorato, che lo dice. Ma non ci sono prove ed è facile attribuire la responsabilità ai morti». Ma allora perché uccidere i Rizzi? «Perché erano potenti e quelli di Maniero avevano tanta, tanta paura di loro. Non è un caso che di quell’omicidio si continui a parlare a distanza di tempo». Ora insieme a figli e nipoti, stanno preparando una richiesta di risarcimento danni «verso i mestrini, Maniero e tutti quelli che hanno partecipato al delitto». Il ristoro economico permetterà finalmente la chiusura dei conti scongiurando la vendetta? Il Doic non nasconde i suoi dubbi, Andrea è ancora più esplicito: «Non è che noi andiamo in cerca di Maniero con la calamita, sappiamo benissimo dove abita. Ai giudici l’abbiamo detto e questo vale anche per Manca: noi non portiamo armi, ma abbiamo queste (e mostra le mani, ndr), la reazione è quella che viene dal cuore, in quel momento». Ma lo stato di insicurezza è diffuso: «Nessuno è in una botte di ferro, neppure noi», afferma Andrea, «Non ho paura di essere ucciso, se succedesse sarebbe il male minore perché non abbiamo più niente».

Manca e le scuse. Nel mirino dei Rizzi c’è anche Giampaolo Manca, accusato di aver partecipato al delitto dei fratelli: «È stato uno dei più sporchi traditori. Lui lavorava con i nostri fratelli e loro l’hanno cacciato. Dice che a lui piacerebbe chiedere scusa. L’ha mai fatto? L’unico è stato Zampieri».

La Mala. Sul possibile ritorno dei mestrini: «Dopo 30 anni di galera, hanno capito che con la droga è finita. È impossibile pensare di riacquistare Venezia, Mestre o Padova da una o da più batterie. Oggi si sparano addosso per un grammo di roba e abbiamo più albanesi, marocchini, senegalesi che italiani. Se si fa un giro a Santa Margherita o a San Polo non si vedrà un italiano a spacciare. Pensi ai sequestri e agli arresti: vede forse mestrini? Io no», spiega Andrea. E il Doic: «Nei giorni scorsi c’è stata l’operazione sui calabresi. Hanno potuto espandersi qui sulla droga perché non ci sono gli italiani e perché il crocevia è più facile, sia via terra che via mare». La criminalità a Venezia, dalla droga ai furti, ribadiscono, è in mano ad albanesi e marocchini. «Ora hanno iniziato anche con i furti di motori: spariscono dagli otto ai dieci motori al giorno, ed è il giro dei rumeni. La Mala è un capitolo chiuso. In un mese di facevano 10 rapine, ora quel numero si fa in un anno».

I misteri. Sono invece ancora presenti, secondo i Rizzi, gli interrogativi su alcuni casi di quel periodo come l’omicidio di Sandro Radetich, ex luogotenente di Maniero. «Radetich era un nostro amico, è vissuto alla Giudecca con noi, andavamo a fare scorribande e furti insieme», dicono, «Poi scopre con nostro fratello che era redditizio vendere droga: fu il primo a Venezia. Ma commise un grosso errore, andò a vivere a Camplongo e aprì un laboratorio di scarpe e giubbotti in pelle. Poi, ha raccontato Baron, ci fu una lite con Maniero e lui sparì».

Ricominciare. Quel periodo è tramontato, spiegano, ma ricominciare non è facile. «Noi abbiamo pagato il nostro conto con la giustizia e stiamo ancora pagando. In tutti i modi». Il Doic ha 58 anni e ne ha fatti 25 anni di carcere per spaccio, rapina e tentato omicidio; Andrea si è “fermato” a 16. Alessandro racconta gli esordi: «Facevo il contrabbandiere di sigarette, guadagnavo molto con quello. Finito il traffico tra Italia e Jugoslavia ci siamo spostati verso Bari e Brindisi e facevamo le traversate. Se avessi voluto, avrei potuto caricare la droga all’epoca. Non l’ho fatto». Ma ha fatto altro, ammette, ed ha scontato le sue condanne. «Ora non ho più neppure una multa». Eppure il passato stenta a passare e il cognome, spiegano, ha il suo peso: chiamarsi Rizzi certo non aiuta. «A quasi 60 anni posso fare solo il mozzo», dice il Doic, «Avrei bisogno di avere i titoli di imbarco, per essere capobarca, ma me li hanno tolti. Mi hanno portato via anche la patente nautica per effetto delle condanne. Io voglio rimettermi in gioco, lavorare e mantenere la mia famiglia, pagare le tasse». Ma, prosegue, le porte sono sbarrate perché senza le autorizzazioni non c’è il lavoro e senza lavoro c’è pure lo sfratto: «Ci hanno buttato in strada in quattroequattrotto. Mi sono messo a posto una casa a Punta Sabbioni. Dico, ma allora è lo Stato che ci vuole delinquenti? Io mi adeguo a fare il bravo, ho sepolto il passato, mi impegno molto, ma mi creda, non è facile. Non chiedo regali, solo la possibilità di poter almeno fare i corsi per riavere i titoli. Nel frattempo c’è la solidarietà degli amici, amici non pregiudicati».



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