Paradosso Tav, 12 miliardi per guadagnare 10 minuti

Il completamento della tratta veneta dal ritardo abissale al deragliamento annunciato  Venezia-Milano in poco più di due ore, il doppio di quanto serve da Milano a Bologna  
Francesco Jori
Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, all'apertura dei lavori per l'Alta Velocità a Lonato (Brescia), 05 ottobre 2020. ANSA/ Filippo Venezia
Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, all'apertura dei lavori per l'Alta Velocità a Lonato (Brescia), 05 ottobre 2020. ANSA/ Filippo Venezia

L’ANALISI



Il binario & il campanile: cronaca di un deragliamento annunciato per l’alta velocità, quando finalmente verrà ultimata in Veneto. All’abissale ritardo si somma un paradossale controsenso: riferiscono le ultime notizie che una volta operativo tra Milano e Venezia (e comunque non prima del 2029, a quarant’anni dalla partenza…), l’attesissimo treno consentirà di risparmiare l’inezia di dieci minuti. Completare il tratto veneto costerà 12 miliardi: oltre uno a minuto, che investimento è? Oggi il collegamento più veloce tra le due città è di due ore e un quarto; domani scenderà a poco più di due. Il doppio di quanto occorre per andare da Milano a Bologna.

La ragione di questo nonsenso è banale quanto sconfortante: il numero di fermate intermedie richieste, anzi pretese lungo il percorso. Quattro addirittura in Veneto: Verona, Vicenza, Padova, Mestre; con una quinta incombente, visto lo scontro in atto di Peschiera nei confronti di Desenzano per ottenere la sosta al Garda. E con un’aggravante specifica in terra berica: dove si è combattuta una deplorevole guerra interna dei trent’anni per scegliere il tracciato, costata ritardi abissali e scandalosi sovracosti; perfino ora che si è giunti al dunque, in città si continua a discutere anche in questi giorni. E meno male che il progetto originario di alta velocità è definitivamente abortito più avanti, tra Venezia e Trieste: perché lì le ipotesi di percorso e di fermata erano diventate delirio.

Non c’è neppure un’ombra di metodo, in questa follia: nemmeno il campanile più acceso giustifica la realtà di un treno veloce costretto ad arrestarsi ogni trentina di chilometri. C’è un paragone incontrovertibile a dimostrarlo: la distanza su binario tra Milano e Venezia è praticamente uguale a quella tra Parigi e Bruxelles, circa 250 chilometri; ma tra la capitale francese e quella belga basta un’ora e venti minuti, perché non esiste alcuna sosta intermedia. Mentre tra il capoluogo lombardo e quello veneto, a regime, gli stop saranno almeno quattro; cinque se anche i gardesani spunteranno la loro parte, dovunque si decida di insediare l’ennesima tappa.

Non è purtroppo una novità, nel Veneto dei campanili ad oltranza: dove ogni progetto che vada oltre i ristretti confini comunali (e talvolta perfino delle frazioni, nella contrapposizione tra quelli “di sopra” e quelli “di sotto”) si schianta contro una canéa di rivendicazioni localistiche che finiscono per ritardare se non cancellare ogni disegno organico di sviluppo. Col risultato, non di rado, di costringere a intervenire la contestata e deprecata Roma per decidere al posto degli indecisionisti indigeni: esempio clamoroso, il sofferto passante di Mestre dove il governo centrale dovette sostituirsi a quelli locali per consentirne l’attesa realizzazione. Così è andata per l’asfalto, così non sarà per il binario: alla fine ciascuno porterà a casa la sua fetta di un’alta velocità ridotta a una vuota definizione smentita dai fatti; in compenso ci leveremo l’impagabile soddisfazione di arrivare dieci minuti prima a Milano. Dove avremo tutto il tempo per riflettere sul Veneto delle sette province, capace di riscrivere a proprio uso e consumo la favola dei fratelli Grimm. Nella parte dei sette nani. —

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