Pietro Maso minaccia un amico e le sorelle lo denunciano

VERONA. Si apre un’altra tappa nella lunga e tormentata “carriera” giudiziaria di Pietro Maso, il veronese di 44 anni che da ragazzo, era l’aprile del 1991, uccise a sangue freddo, con l’aiuto di due complici, i genitori Antonio e Mariarosa, a Montecchia di Crosara. Per lui ora si profila l’accusa di minacce, legata al messaggio sms che, mentre si trovava in Spagna, ha inviato ad un amico “reo” di avergli negato un ulteriore prestito dopo i 25 mila euro già concessi.
Questo è il testo del messaggino finito sul tavolo del magistrato: «Ora Fabio pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo lì e ti stacco quella testa di cazzo che hai». Parole forti ma il caso ci ha messo lo zampino e così, prima che al suo interlocutore, per un errore di invio, il messaggio è giunto sul display del cellulare di Nadia Maso, una delle due sorelle di Pietro. Che non è rimasta indifferente e, insieme alla sorella Laura, una settimana fa, si è rivolta ai carabinieri e ha presentato fa un esposto alla Procura della Repubblica di Verona. Negli stessi giorni, per ironia della sorte, il quarantenne, intervistato da “Chi”, raccontava di aver parlato al telefono con papa Francesco, chiedendo perdono per il delitto commesso, e sosteneva di non avere ucciso i genitori per soldi ma per liberarsi da una sorta di «cappa di protezione eccessiva» della quale si sentiva prigioniero.

L’iniziativa delle sorelle, non è stata certo presa bene da Pietro Maso, che è passato al contrattacco. «Ha preannunciato una denuncia nei loro confronti per diffamazione», ha rivelato l’avvocato Agostino Rigoli, legale delle due donne. “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete in tribunale”, le parole - riferite da Rigoli - che Maso avrebbe pronunciato parlando al telefono con le sorelle. Il mai tranquillo rapporto tra Pietro, Nadia e Laura ha subito così un’ulteriore incrinatura. Nadia Maso, riferisce il suo legale, ha incontrato per l’ultima volta il fratello il 21 dicembre scorso nella sede di Telepace a Cerna (Verona): si tratta dell’emittente per la quale Maso aveva lavorato sotto il controllo del suo padre spirituale. Secondo la donna, non si è trattato di un incontro di pace: «L’ho visto in uno stato confusionale e di onnipotenza, nei suoi occhi ho colto deliri euforici che mi hanno lasciato sorpresa e spaventata, ricordandomi lo stato in cui versava nel 1991, prima di commettere degli omicidi».
Ora comunque la denuncia completa, con tanto di estratti conto bancari che testimoniano anche bonifici, è sul tavolo della Procura veronese che dovrà decidere se esiste un’ipotesi di reato. È possibile che il pm decida di contestare il reato di minacce più che di estorsione, come ipotizzato in un primo tempo. L’amico di Maso ha riferito ai carabinieri che nell’arco di due anni, cioè nel periodo in cui l’ex detenuto lavorava a Telepace, ha prestato a Maso una somma quantificata in 25 mila euro. Maso chiedeva e l’amico sborsava perché «fortemente attratto dalla sua personalità». Fino al rifiuto e all’sms inquietante pervenuto lla sorella. Maso - che per i suoi delitti è stato condannato a 30 anni di carcere (con il riconoscimento della seminfermità mentale al momento del fatto) e ne ha scontati 22 - si è più volte rivolto a don Guido Todeschini, che l’ha sempre aiutato; ieri, sollecitato dai giornalisti, il sacerdote si è limitato a un commento laconico: «Se uno è malato, è malato, i media non dovrebbero scrivere di lui ma tacere».
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